- EDIZIONE
- Una lingua nuova. La lingua della parola – libro
- La realtà della parola
- L’inconscio e la qualità della vita
- Il terremoto. Nella sessualità, nella clinica, nell’impresa
- La tentazione
- Stress. La clinica della vita
- L’Art Ambassador. La vendita, il messaggio, il valore
- L’ascolto e i dispositivi di direzione e di educazione
- Brainworking. La questione intellettuale
- La lampada di Aladino. I giovani, la sessualità, la comunicazione
- La lampada di Aladino. I giovani, l’amore, la finanza
- La lettura delle fiabe. Quale ambiente, quale educazione
- L’educazione e la direzione. L’autorità, la responsabilità, la capacità, la decisione
- La formazione intellettuale dell’insegnante nel terzo millennio
- L’idea del male, di dio e della morte nel discorso occidentale
- L’autorità nella famiglia e nella scuola
- La parola, il silenzio, la comunicazione. L’ascolto e la clinica
- La follia e l’arte
- La scuola e il progetto di vita
- L’educazione
- Arte e cultura della tolleranza
- Scuola e famiglia nel dispositivo dell’educazione
- La qualità dell’ascolto nella comunicazione
IL TERREMOTO. Nella sessualità, nella clinica, nell’impresa
- Il terremoto
- L’insistenza sessuale
- Clinicamente
- Il talento
- La conclusione
Il terremoto
Ruggero Chinaglia. Buonasera. Allora cominciamo. Ci sono domande sulla questione di questa sera? Ecco la prima.
Lucio Panizzo. Il tema del terremoto mi ha suscitato varie questioni, anche varie fantasie. Ma comunque, la questione che più m’interessa è come l’irruzione della parola, della logica della parola nel discorso occidentale, già con Freud, ha comportato un terremoto, nel senso che quello che veniva pensato come saputo, conosciuto, la stessa ricerca scientifica, per cui c’è la prova, c’è l’esperimento, la questione dell’irruzione della parola nel discorso, ha comportato e tutt’oggi comporta un disturbo, perché non è collocabile, non è padroneggiabile, non è sicuro che sia dimostrabile.
Per esempio, la medicina cerca di dimostrare alcune cose, però non le capisce, oppure non è in grado di capirle. Per cui la cifrematica, e cioè questa invenzione di Armando Verdiglione con la questione della logica della parola e dell’esperienza della parola originaria è un terremoto per il discorso occidentale, perché non è ancora stata ammessa, come se fosse fuori dei canoni aristotelici, platonici, della civiltà greca e latina.
L’analisi comporta un terremoto perché la stessa domanda, quindi la questione del disagio della domanda, è uno sconvolgimento rispetto ai preconcetti, a ciò che si pensa sia la vita giornaliera, con tutte le sue comodità, con tutte le sue certezze; e quindi io penso che questo tema è molto interessante oggi perché, effettivamente, la cifrematica è un terremoto quotidiano rispetto al già saputo, al già conosciuto, alla saccenza, a quello che uno pensa di sapere perché ha studiato all’accademia universitaria.
Insomma, la stessa vicenda Verdiglione e i suoi libri, indicano un percorso estremamente interessante, ma anche la provocazione, la questione del sembiante; questa è una questione, cioè l’oggetto della parola e non il soggettivismo, perché se c’è soggettivismo, allora, l’unico terremoto che ci può essere è quello sismico. L’oggetto della parola comporta un altro terremoto che è un terremoto intellettuale non un pericolo, non fa vittime. Ecco, questa è una questione.
R.C. Cosa chiama cifrematica?
L.P. Cifrematica? La cifrematica è un’esperienza, quindi non è insegnabile, non è accademica. E l’esperienza della parola originaria comporta che ciascun atto di parola è un atto nuovo, è un atto non conosciuto.
R.C. Quindi, lei quando dice “la cifrematica indica”, “la cifrematica comporta”, “la cifrematica qua”, “la cifrematica là”, cosa intende dire?
L.P. No, ho detto “l’esperienza della cifrematica”.
R.C. Ecco, l’esperienza della cifrematica, a questo punto mi sembra che divenga un bagaglio.
L.P. No, non volevo intendere questo, perché altrimenti sarebbe un discorso.
R.C. Ecco, c’è questo rischio.
L.P. Si, non volevo intendere questo, anche se magari, insistendo…
R.C. Ponendo in campo “la cifrematica”, è come se diventasse un discorso.
L.P. Sì, detto così, sì. Ma io ho voluto dire che l’esperienza della cifrematica e quindi l’atto, è un terremoto perché è insaputo.
R.C. Ecco, l’esperienza della cifrematica non c’è.
L.P. L’esperienza della cifrematica non c’è?
R.C. Stando a quello che lei dice non c’è. C’è la cifrematica come esperienza, ma non l’esperienza della cifrematica.
L.P. Sì.
R.C. Altrimenti sarebbe un bagaglio, un discorso.
L.P. Sì. Ma mi riferivo al terremoto…
R.C. Quindi, precisamente, cosa voleva dire?
L.P. Che il terremoto è una questione che comporta un non sapere, un non conosciuto; ecco, non ha un bagaglio dietro, appunto, non ha una sostanza, irrompe all’improvviso, non è nemmeno ipotizzato, oppure può essere previsto, ma arriva all’improvviso e non comporta nessuna conoscenza, né tanto meno previsione.
R.C. Il terremoto.
L.P. Si.
R.C. Ma quale?
L.P. Il terremoto della parola originaria, anche.
R.C. Lei lo conosce?
L.P. No.
R.C. Allora su che base ce lo dice?
L.P. Non lo conosco.
R.C. Però ce lo sta dicendo.
L.P. Io dico che irrompe; irrompere non vuol dire conoscere. È imprevisto.
R.C. Quindi lei dice che ha fatto irruzione per lei, nella sua vita?
L.P. Si.
R.C. Come, quando, dove?
L.P. Con l’esperienza dell’analisi.
R.C. È avvenuto una volta per tutte?
L.P. No, avviene ciascun giorno con l’analisi. Non è avvenuto una volta per tutte.
R.C. Quindi lei sarebbe un terremotato?
L.P. Sì.
R.C. Ecco.
L.P. Sì, ma non nel senso che sono precipitato.
R.C. Ma c’è questa irruzione del terremoto. In che termini lei lo qualifica il terremoto, ciò che irrompe?
L.P. Perché ha comportato uno squarcio, una rivoluzione nella mia vita.
R.C. Ha comportato.
L.P. Ha comportato e comporta. Rispetto a quello che pensavo di sapere, oppure mi ero accomodato da qualche parte, e quindi è molto scomodo. C’è anche la questione del tempo qui.
R.C. Esattamente la domanda qual è?
L.P. Mi sono perso, adesso.
R.C. Ecco.
L.P. Non so più nemmeno qual era la domanda. La questione è come il terremoto, questo significante, abbia delle connessioni con la rivoluzione cifrematica. Come le cose, rivolgendosi alla cifra, comportino un terremoto.
R.C. Ecco. Quindi la questione è se e come. Lei invece è partito pomposamente dicendo cos’è il terremoto.
L.P. No, io sono partito dicendo che trovavo delle connessioni fra questo termine e la cifrematica però, effettivamente, ragionando, quello che ho detto non era preciso, perché sembrava conosciuto; lei ha detto “bagaglio” nel senso di conosciuto, almeno io ho inteso questo. Ma siccome non c’è nessuna conoscenza, il ragionamento non è quello, ma un altro da fare. Comunque, anche terremoto e rivoluzione sono due significanti interessanti; poi ci sono altre cose, ma per il momento basta.
R.C. Meglio. Altre domande?
Pubblico Dalla mail che ho ricevuto, mi ha colpito la frase “che niente tornerà più come prima”, che mi ha fatto riflettere, nel senso che, effettivamente, anche nella mia vita personale ci sono stati alcuni eventi per cui ho pensato “le cose non torneranno più come prima”, oppure c’era un’ostinazione da parte mia a volerle per forza riportare allo stato ante episodio, e ho pensato all’analogia tra questa situazione e quello che può causare il terremoto, perché mi sono anche chiesta, il terremoto in realtà, secondo le mia opinione, mette le persone di fronte alla loro limitatezza e in secondo luogo è come se una persona sentisse di aver perso le proprie sicurezze. Mi chiedo, quindi, sempre sulla mia esperienza personale, forse l’uomo sbaglia nel momento in cui cerca delle sicurezze eccessive, nella propria vita, quasi come una forma di rifugio, di fronte alla paura o ai fatti della vita, e forse il terremoto, alle volte, arriva proprio per scombussolare o per mettere in discussione queste sicurezze.
R.C. Dice che il terremoto avrebbe questo fine, questa finalità?
Pubblico Forse sì, per indicare una nuova direzione, un’apertura verso qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, perché altrimenti, vista in una prospettiva eccessivamente negativa, è proprio qualche cosa che può creare terrore e basta.
R.C. Sarebbe uno spreco.
Pubblico Cerco di vedere l’aspetto positivo che si potrebbe ricavare dalla cosa.
R.C. Il terremoto lo fa apposta!
Pubblico Il terremoto, dal punto di vista fisico, come evento geologico no, però il terremoto della vita, inteso come episodio sconvolgente, che crea uno squarcio, sì.
R.C. Ci sarebbe un terremoto come episodio.
Pubblico Come episodio frequente. Ci sono certe zone della terra che sembra non siano mai state interessate dal terremoto, così come ci sono evidentemente vite che sono piatte, che non sono mai state interessate da particolari scossoni e quindi, magari, quando arrivano inaspettatamente, hanno la forza di un terremoto forza nove. Sì, è un episodio, ma magari a certe persone capita molto spesso questo evento.
R.C. Tuttavia, resterebbe nel campo delle eccezioni, come un avvenimento eccezionale.
Pubblico Sì, però mi colpisce il fatto che nel momento in cui capita qualcosa, le cose non tornino più come prima, perché lasciano un segno o un esperienza, per cui chi vive quella cosa non è più come prima. C’è qualcosa di nuovo che irrompe nella sua vita a livello di fatto e di sensazioni, nel modo di percepire le cose e mette di fronte a porsi nuove domande, nuove questioni, e a volte mi piacerebbe che queste questioni non si ponessero perché, ovviamente, creano una sorta di confusione interiore.
R.C. Quindi, è con il terremoto che nulla torna come prima.
Pubblico Sì.
R.C. Altre domande?
Pubblico Vorrei riprendere un po’ dei termini che sono stati detti nella presentazione del libro di Dalla Val. Sono stati espressi dei concetti che si potrebbero intrecciarsi bene con quelli detti questa sera, che però nel cucire un momentino, uso questo termine perché a volte mi metto a cucire…
R.C. Cuce o ricuce?
Pubblico A volte cucio e a volte ricucio perché so di aver sbagliato dove ho cucito e devo rifare un’altra impostazione.
R.C. Ma, quindi, cuce ciò che ha cucito?
Pubblico No, è un altro progetto, un secondo progetto.
R.C. È sempre cucitura!
Pubblico Sì, ma c’è sempre un’innovazione in mezzo.
R.C. Quindi mai può dirsi ricucitura.
Pubblico Mai può diventare ricucitura, ma una nuova cucitura sì. Ma non devia un po’ dal seminato questa postilla?
R.C. Devia da seminato?
Pubblico Questa postilla è una precisazione che allontana dal cogliere con il dovuto valore, perché ciò che viene a definirsi è sempre accolto con il massimo rispetto e piacere, pleasure. Alcune cose che lei ha detto nella seduta precedente, e che ho notato in relazione al relax, stress e relax. Per esempio, vorrei sapere se lei si sente immune dallo stress? Aspetta che questa me la voglio scrivere…
R.C. Questa domanda è fuori dal seminato o dentro al seminato? Dove la situiamo questa domanda?
Pubblico Non la situiamo, gli creiamo un percorso ad hoc, perché conviene così.
R.C. Stress e immunità.
Pubblico No stress e immunità; se si è immuni dallo stress. Se uno è immune dallo stress, cioè se è soggetto a stressarsi. Perché c’è una piccola postilla che potrebbe essere annotata in questo concetto, riferendosi all’incontro che lei ha avuto con un signore che non dormiva alla notte per quello che faceva durante il giorno, e lei gli ha dato dei suggerimenti, e in quella fase lei ha detto una parola, ha detto un termine che chiarirebbe molte cose non chiarite. È un programma questa cosa, nel senso che, ma prima mi risponda: lei si sente immune dallo stress? Poi io continuo.
R.C. Se io rispondo lei continua?
Pubblico Non metto mai condizioni perché è impropria questa cosa. Io non voglio mai mettere condizioni perché mancherebbe di rispetto e di libertà. Per principio io non voglio mai mettere condizioni.
R.C. Allora, per il momento ci atteniamo a questo.
Pubblico Ma non abbiamo detto niente, però.
R.C. Come no? Ho preso nota. Se ho preso nota qualcosa abbiamo detto.
Pubblico Per esempio, è qui presente questa sera, la dottoressa Resoli, che non mi fatto dormire per due o tre notti…
R.C. Ah, però, e c’è lo dice così? Caspita, non sapevamo!
Pubblico Sono anche un po’ sciupato questa sera per questo, perché ha parlato di questo concetto relativo all’identità e magari, come l’ha definita lei, questa relazione tra identità e se stessa, diventa, diciamo, un modo di dare privilegio alla cifrematica e al dispositivo della cifrematica, ma nello stesso tempo porta anche molto lontano da dare conclusione ai temi che la dottoressa Nadia ha messo in campo questa sera di amore e innamoramento, se non si mettono insieme questi due concetti, non si può capire a fondo la specificità, perché lei ha detto prima, che bisogna…
R.C. Sta facendo la telecronaca? Ci sono già i telecronisti!
Pubblico No, ma ci vuole. Lei cosa ha detto prima? Aspetti un secondo… guardi ho perso la mia… dov’è… lei ha detto che bisogna… che bisognava dare specificità ai due concetti… Bisognava imbastire identità, innamoramento e amore; e in che relazione si pongono i due concetti: in misura esclusiva, direttamente proporzionale o inversa?
R.C. È proprio sartoriale questa sera. Ci vuol far fare anche l’imbastitura!
Pubblico A volte ho trovato il modo di non fare l’imbastitura.
R.C. Comunque ho preso nota. Altre domande?
Pubblico Io volevo dei ragguagli in proposito alla questione della sicurezza e alla preparazione.
R.C. La sicurezza è già intervenuta come questione. L’altra qual era?
Pubblico La preparazione. La preparazione al terremoto.
R.C. Al terremoto? Cioè, in che senso?
Pubblico Nel senso che non rientra nella metafora il traslare il terremoto sismico in altre circostanze, per rimanere come aderenti al fenomeno sismico.
R.C. Lei resta aderente al fenomeno sismico?
Pubblico La preparazione per il terremoto solitamente avviene. Come tutelare ciascun abitante qualora avvenga il terremoto. Adesso, rientrando alle metafore, se effettivamente il terremoto può essere quell’incidente che comporta una rottura, una frattura rispetto a una struttura consolidata, allora può rientrare nel programma la questione dell’incidente, della frattura, dell’incidente e se ci può essere una preparazione a esso? E se può esserci che cosa comporta? Ovviamente questo in maniera generica, non entrando nel particolare, volendo rimanere generica, cioè non considerando l’unicità dell’esperienza del terremoto o per quelle metafore che ho fatto, ma teorica.
R.C. Teorica nell’accezione di ipotetica?
Pubblico Si, anche.
R.C. Quale accezione lei dice teorica?
Pubblico Ma, io tendo per semplificare a dire teorico come contrario di una pratica che si può vivere.
R.C. Teorico come probabile?
Pubblico Sì. Il terremoto fa parte di un sistema e può esserci una preparazione al terremoto, ipotizzando il fatto che sussiste può esserci una preparazione; come mai, perché?
R.C. Esatto. Molto interessante come notazione. Ci sono altre domande?
Daniela Sturaro. Vorrei dire alcune cose sul cedimento. Ci sono tanti tipi di cedimento, anche il fatto di accontentarsi di una vita che non soddisfa è un cedimento, tirando fuori giustificazioni, dicendo che non si possono fare altre cose perché si hanno dei limiti, oppure, chi vive facendo le cose in maniera pesante, facendo sempre in modo di tirarsi indietro, di evitare lo sforzo e il dispendio; poi c’è un altro tipo di cedimento, che è il ritiro, ovvero, si attua quando qualcuno desidera vivere nelle macerie del terremoto, e se anche c’è il soccorso che ristruttura e riedifica, questo qualcuno ributta giù l’edificio e vuole vivere nelle macerie.
R.C. Sarebbe il day after.
D.S. No, non è la fine del mondo.
R.C. Però tutto è crollato, lì restano le macerie.
D.S. Restano le macerie e desidera che restino così perché forse le trova artistiche.
R.C. Si, quindi la domanda è?
D.S. C’è qualcosa che possa dare un motivo a queste persone di uscire dalle macerie?
R.C. Ma, sono sotto?
D.S. No, sono circondati dalle macerie, non sono sotto, come nel caso in cui vediamo le persone che vengono estratte dalle macerie.
R.C. Stanno fra le macerie. Siamo partiti dall’innamoramento e dall’amore e siamo arrivati alle macerie.
Gianfranco Dalle Fratte. È un tema kafkiano. C’è un racconto di Kafka sulle macerie, dove dice che credeva di aver costruito una o più case, invece non vedeva altro che macerie.
R.C. Credeva di aver costruito.
G.D.F. Sì, e dice che si muove sopra un cumulo di macerie. Kafka dice così.
R.C. E come s’intitola questo scritto?
G.D.F. È un breve racconto del quale non ricordo il titolo, ma che la domanda della signora mi ha fatto venire in mente.
R.C. Esatto, le macerie. In effetti è il momento di affrontare la questione. Ecco, in fondo alla sala…
Pubblico Il terremoto è il moto della terra, cioè, di ciò che sta alla base, il fondamento, qualcosa che noi pensiamo inamovibile, che però non è così e quando succede scuote dal profondo, dalla base chi lo subisce.
R.C. Chi lo subisce?
Pubblico Chi fa della propria vita delle rappresentazioni. Qualcuno parlava di macerie e di prevenzione, ma il terremoto non sarebbe più un problema se le case fossero costruite con metodi antisismici; diventerebbe tollerabile.
R.C. Tollerabile? Che cosa lo rende intollerabile?
Pubblico Perché scuote le fondamenta, ciò che è alla base, la terra.
R.C. Ma il tema antisismico che cosa c’entra?
Pubblico Renderebbe gli edifici meno statici, più flessibili.
R.C. Lo scuotimento ci sarebbe?
Pubblico Ci sarebbe, ma sarebbe assorbito.
R.C. Ciò che la spaventa è il terremoto o il crollo degli edifici? Non capisco il nesso con il criterio antisismico se la questione sta nello scuotimento.
Pubblico Il criterio antisismico permetterebbe di ridurre i danni.
R.C. Quali sono i danni?
Pubblico Il terremoto potrebbe distruggere completamente e questo dà avvio a un cambiamento nuovo, diverso, in una prospettiva diversa; costruire con metodi antisismici significa permettere agli edifici di mantenere la loro struttura nonostante il terremoto.
R.C. Lei si preoccupa per gli edifici?
Pubblico No, per gli effetti. Cioè non siamo preparati a reggere gli effetti di un terremoto. Poi volevo tornare su un punto, lo stress e la soggettività.
R.C. Adesso sta svicolando. Invece ha posto una questione dalla quale non possiamo svicolare.
Ci sono altre domande?
Maria Antonietta Viero. Quando la difficoltà è estrema e sembra senza soluzione, s’invoca “meglio la guerra, così si può partire da zero”. O la crisi “meglio il fallimento di una nazione, così si può ripartire da zero”. Allora mi chiedevo come questo “ripartire da zero”, sembra trovarsi dove è interdetta l’invenzione e anche la follia, quindi l’evento diventa naturale; è invocato il naturale dell’evento, quindi un terzo elemento, rispetto a un’impossibilità di risposta a ciò che accade. Mi sembra che questo sia un modo di ricondurre al cerchio, ricondurre all’origine qualcosa. Si parte da zero perché qualcosa ricominci, ma è uno zero non effettivo, è un azzeramento.
R.C. Partire da zero è fare tabula rasa.
M.A.V. C’è una sorta di apertura a questo zero.
R.C. La tabula rasa è un azzeramento.
M.A.V. Certo, si dice zero, e c’è anche un modo di ascoltare questo zero diversamente.
R.C. Certo, però un conto è partire dallo zero e un conto è partire da zero. La questione è posta.
La questione terremoto, che come notava qualcuno, è per lo più intesa come il fatto che la terra tremi: la terra trema, ecco il terremoto, il tremito, il movimento. La terra ritenuta immobile, ritenuta il fondamento, si muove.
Il movimento. La questione è quella del movimento tellurico o del movimento? Certamente per geologi, fisici sembrerebbe essere quella del movimento della terra, eppure, in termini estremi, la questione del terremoto, pone la questione del movimento. Il movimento nella parola, nelle cose, nella vita.
Il movimento. Come accadimento fisico, geologico, geofisico questo movimento ha incontrato una forma di misurazione sulla base della capacità distruttiva. Qual è l’entità del movimento? Questa entità è misurata contando i morti, le vittime, i danni, contando quanti sono gli edifici che crollano e, nella costellazione del terremoto, intervengono questi significanti: il crollo, il cedimento, la scossa, il tremito, la fine, l’energia, la forza. Di che forza era la scossa? Quanta energia è stata prodotta? Quando ritornerà la stabilità compromessa da questo movimento? E ciò che avviene in questa costellazione, ha conseguenze pratiche: il panico, lo spavento, la paura e l’attesa; mentre ciò che sembra assillare gli scienziati è l’imprevedibilità del terremoto: del quando, come, dove questa evenienza comporterebbe la perdita delle sicurezze.
Il soggetto confida nella sua stabilità e ripone in questo la sua sicurezza, come dire, senza necessità di cure.
Senza il tempo, la stabilità è la rappresentazione dell’ambiente; in assenza di tempo c’è la rappresentazione di un sistema. Come mai ognuno si rappresenta l’habitat come sicuro, stabile, nella fissità, nella stabilità?
La questione invece, per ciascuno – senza rimedio – è che nella parola nulla è stabile e nulla è fisso. La prima constatazione che avviene parlando è proprio quella del movimento; il movimento che è il modo con cui le cose si dispongono sintatticamente.
C’è chi nota che il terremoto è insopportabile perché scuote il fondamento. In che modo il fondamento risulterebbe scosso? Quale fondamento? Senza la rappresentazione di quelli che possono essere i danni visibili del terremoto, il terremoto è irrappresentabile. Tuttavia, l’idea del terremoto è un’idea che suscita panico, spavento perché incrina la rappresentazione della stabilità. Nel modo con cui viene affrontato, descritto o con cui si parla degli effetti del terremoto, una particolare insistenza viene posta sulla questione dei crolli; il crollo degli edifici dovuto al cedimento di elementi strutturali, per esempio, e la ricerca verte intorno agli elementi deboli della struttura, quali sono, quali sarebbero gli elementi deboli per cui si è prodotto il cedimento della struttura. Allora è questo che per un aspetto interessa, l’idea di una struttura che possa cedere in quanto c’è un elemento che sarebbe debole.
Questa è la trasposizione che interessa – dal terremoto tellurico all’idea del terremoto fantasmatico – che atterrisce.
Ci occupiamo, infatti, della questione del terremoto per il modo con cui interviene nel discorso di ognuno, rispetto alle fantasmatiche che questo scuotimento, questa instabilità non prevedibile, non calcolabile, non quantificabile suscitano, rispetto alla credenza di poter calcolare, prevedere, stabilire, padroneggiare ciò che accade.
La questione del terremoto propone l’assenza di padronanza sulla parola; è una questione che comporta l’estremismo, perché pone la questione dell’Altro, l’Altro non rappresentabile, come Altro tempo, e quindi anche la questione del tempo.
La questione del terremoto geofisico, in realtà, rilancia, amplifica e estremizza, qualcosa che è proprio della parola e, cioè, che la parola non può essere prevista, gestita e padroneggiata; questa esperienza del movimento nella parola, è posta dal terremoto nella sua radicalità.
Il movimento come arte, come cultura riguarda la semovenza delle immagini. E questo aspetto è ciò per cui quel che accade, che interviene nell’oralità, non può mai tornare nello stesso posto, non può mai essere come prima.
Questa è l’esperienza dell’oralità: parlando, conversando, narrando, raccontando, nulla può tornare allo stato precedente, perché quello che si struttura entra in un movimento inarrestabile, che non può essere negato o cancellato. Possono essercene dei tentativi, che hanno come risultato quello di instaurare la maceria, ossia la rappresentazione dell’Altro negato, come rappresentazione dell’impossibilità propria o altrui di conseguire il progetto, di giungere al compimento: queste macerie sono quelle del mondo, la rappresentazione del proprio mondo.
Chi vive nel suo mondo, cioè nel suo sistema, vive fra le macerie, dove vive come vittima del terremoto, di quel terremoto che scuote i propri fondamenti, cioè le proprie credenze, convenzioni, pregiudizi, la propria identità, l’immagine di sé, la propria idealità. Tutto questo determina le macerie, ossia quella tabula rasa dove non s’instaura mai lo zero, il nome che funziona, ma dove le cose sono ordinate secondo un’idealità, un fondamento che è sempre suscettibile di crollo. Che cosa può crollare se non un fondamento? Che cosa può comportare la perdita delle proprie sicurezze se non l’idea di averle?
Pensando che le sicurezze acquisite si possano perdere, ci si costruisce un rifugio per stare fra le macerie, presupponendo che il terremoto possa arrivare da un momento all’altro e distruggere tutto o una parte.
Con la propria personale idea delle cose, in una stabilità senza movimento e senza processo, le cose sarebbero ferme, tali.
La constatazione che le cose non sono ferme ha inquietato gli umani, che hanno dovuto cercare la causa di questa mobilità, di questo movimento delle cose, in cause divine, magiche. O erano gli dei che inavvertitamente, sepolti al centro della terra, si muovevano e davano una scossa, o erano gli dei che, per punire gli uomini, davano un’altra scossa, oppure erano i sortilegi o le forze cosmiche, ma tutto ciò per rappresentarsi il movimento come accidente anziché come proprietà della struttura.
La struttura non è fissa, non è immobile. Tutto ciò che viene attribuito al terremoto in effetti è proprietà della struttura, che è struttura temporale. La struttura della parola è struttura temporale. Non è in assenza di tempo.
Come descrivere il tempo? Come parlare del tempo? Come descrivere l’Altro? Come parlare dell’Altro? Si può provare, ma certamente questo non circoscriverà l’Altro, ma giungerà a Altro.
Chi può dire di avere a che fare con l’esperienza del terremoto? Chi ha sentito tremare la terra sotto i piedi? Chi ha avuto il crollo di un edificio come spettacolo? È quella l’esperienza del terremoto? O l’esperienza del terremoto riguarda la sorpresa di ciò che accade, all’imprevedibilità di ciò che si dice, all’imprevedibilità degli effetti di senso, di sapere, all’imprevedibilità di ciò che si dice e si scrive?
Ecco, consideriamo quest’altro terremoto, in cui si tratta dell’impossibile negazione dell’Altro e di ciò che questa irruzione dell’Altro comporta, parlando, facendo, scrivendo, leggendo, qualificando.
L’esperienza del terremoto non è l’esperienza della distruzione ma è, piuttosto, l’esperienza della costruzione, come le cose si strutturano. Non come sono strutturate, ma come si strutturano, come si costruiscono, e ciò che si costruisce non si distrugge perché entra nella memoria, intesa come esperienza.
C’è un’altra accezione di terremoto, dove la terra non è fissa, non è stabile, ma è in costruzione, e questa è la chance.
In quest’accezione di terremoto, in quest’accezione di esperienza, in questo scenario possiamo considerare l’amore e l’innamoramento non già come patimento, al modo di Platone, ma come ciò che interviene nella struttura.