Di giovedì, alle ore 21, da aprile a giugno, nella Sala Polivalente della Guizza, Via Santa Maria Assunta 35/A, a Padova, con il patrocinio del Consiglio di Quartiere 4 Sud-Est, si tiene la terza serie di incontri dal titolo
L’ANALISI – terza serie
INCONTRI CON RUGGERO CHINAGLIA
Appuntamenti:
Giovedì 7 aprile, Il dispositivo
Caratteristica essenziale del dispositivo intellettuale è non essere ispirato all’erotismo dell’oggetto o/e del tempo. Esempi di erotismo sono l’ipotesi di finalizzare o funzionalizzare ciò che si sta dicendo o facendo a un risultato scontato, sicuro, ipostatizzato “per conseguenza”, come dire per predestinazione. Senza conto e senza calcolo. L’erotismo che presume di espellere l’oggetto istituisce il causalismo, il determinismo, il finalismo, fino alla credenza nella predestinazione che ha il suo colmo nella credenza che “tutto sia già scritto o deciso”. Questo erotismo dell’oggetto volge la causa in movente, in cui la volontà sarebbe la condizione dell’efficacia. L’altro erotismo è quello del tempo, che vorrebbe ordinarlo in una cronologia e quindi prevederlo, pensandolo come finito e finibile, nonché tempo che passa e che scorre. Il dispositivo è intellettuale in quanto è in assenza di idea di fine e di sufficienza. Solo così può attuarsi il miracolo, ossia che qualcosa accada, anche e soprattutto dove l’idea era di fine.
Giovedì 14 aprile, La libertà
La questione è semplice. La libertà della parola è libertà senza soggetto. È una virtù del principio della parola. La parola è libera e mai questa libertà può essere confiscata. La parola è libera di divenire cifra, libera di qualificarsi, di valorizzarsi. Già nella domanda è posta questa istanza. La libertà della parola è una virtù che non può essere tolta: la parola è libera nella combinazione e nella combinatoria. La combinazione è il modo con cui la cifra procede dal due, infatti corpo e scena si combinano nella cifra. Ciò in assenza di ontologia e linearità, in assenza di dicotomia dell’uno. Nessuna unità da cui procedere e a cui tornare. Non c’è più ritorno né idea del ritorno. la questione della libertà pone l’inesistenza del soggetto: la libertà non è propria al soggetto. La libertà è senza idea di bene o di male.
Giovedì 21 aprile, Vivere senza paura
Vivere con la paura è il modo normale di vivere degli umani. La paura contrassegna la normalità dell’uomo: dalla paura di Dio, a quella del diavolo, dalla paura della fine nelle sue varie forme, fine della vita, fine dei soldi, fine delle forze, fine della capacità, alla paura del buio, delle tenebre, degli spazi aperti, dello sporco, dell’impurità, del contagio, della contaminazione, della brutta figura, del dolore, della debolezza, degli altri, del male, la paura di stare soli, la paura del gruppo, dell’origine, del ritorno… Ognuno può suggerire la sua formula, invocando una causa, un oggetto, un motivo. E ogni pretesto è buono per avere paura, è ritenuto normale, umano. Orrore, terrore, panico, spavento, paura, fobia non sono termini che caratterizzano l’intensità o la gravità della paura. Una certa classificazione vorrebbe che il terrore fosse la forma più intensa di paura, l’ansia quella più leggera. Seguendo questo criterio non si può capire di cosa si tratti, ma ci si limita all’elenco, seguendo le rappresentazioni che ognuno fa del “suo” sintomo. Della paura importa capire la struttura, la fantasmatica, quindi la logica e la combinatoria. La paura viene scambiata per depressione e demonizzata come malattia.
Giovedì 5 maggio, La conclusione
L’istanza di conclusione indica la tensione finanziaria, cioè che quel che si dice si fa e si scrive fino alla sua cifra. La conclusione trae con sé la scrittura, l’istanza della vendita, la brevità, senza fretta e senza l’idea dell’ultimo momento che caratterizzano l’idea di negatività rispetto al tempo. Idea di fine del tempo. L’idea di fine del tempo comporta un confine tra due presunti territori: dove c’è il tempo e dove il tempo finisce. Così, si tratterebbe di controllare, gestire, abitare, il territorio temporalizzato erotizzando la sua possibile fine. Dall’immobilismo alla lentezza, alla fretta governati dall’idea di ultimo tempo, ultimo momento. In omaggio al soggetto del tempo. E l’occlusione è ciò in cui si volge la conclusione a fronte del rimando quale tentativo di gestione del tempo. Una conservazione che impedisce, contrasta il tempo. Se il tempo è pensato scorrere, passare, quindi finire, la sua rappresentazione è, per esempio, l’occlusione, come rappresentazione impossibile della realizzazione del fantasma di gestione del tempo.
Giovedì 12 maggio, Il principio algebrico e il principio geometrico
Il modo corrente di evitare e abolire addirittura l’analisi è quello di appellarsi al principio di condivisione: questo principio abolisce la divisione a favore di un’algebra o di una geometria che consentirebbe di applicare un principio unitario, una lingua universale, un codice stabilito con il quale si tratterebbe di padroneggiare un’ermeneutica della lingua presunta comune. Questa ermeneutica si avvale non già della lingua dei nomi e dei significanti e di Altro che interviene, ma di concetti che debbono sgombrare il campo da particolarità e anomalia. L’appello all’uso di concetti procede dalla credenza in uno o più giudizi di valore universale che si adatterebbero a tutti gli appartenenti a un determinato genere o insieme.
Giovedì 19 maggio, L’obbedienza
Il discorso occidentale attua il processo di soggettivazione come rimedio, antidoto all’astrazione. Per esempio se diciamo l’obbedienza, la traduzione che ne fa il discorso è “chi è obbediente”; converte cioè l’obbedienza, virtù della parola, in una facoltà soggettiva, cui dovrà pure corrispondere un attributo soggettivo. Chi obbedisce è obbediente chi non obbedisce è disobbediente. Su questa modalità è sorto l’uso “politico” della psichiatria nei vari regimi, nei quali la disobbedienza veniva poi diagnosticata “malattia mentale”. Era quindi tradotta come disobbedienza al regime e quindi come indice di malattia mentale.
Questo può accadere se l’obbedienza viene intesa rispetto a qualcuno e quindi volta in una coppia oppositiva tra chi comanda e chi obbedisce. È un risvolto del fantasma della coppia schiavo padrone: lo schiavo obbedisce al padrone che ordina. Questa nozione di obbedienza è sottoposta al fantasma di soggettività, all’idea di soggettività, è ispirata alla soggettività e ha come protagonista il soggetto che ha facoltà di obbedire oppure non obbedire.
Giovedì 9 giugno, L’investimento
Come questione semplice, segue che la formula “investimento del capitale” non riguarda l’investimento. Il capitale segue all’investimento perché ne comporta la scrittura. E l’investimento è senza sostanza. Così è anche senza contabilità: cosa può essere contabilizzato della materia della parola, della materia intellettuale?
Perché nell’investimento vige il principio del due, la contraddizione e il principio del tre, la logica singolare triale. Di quale veste (vestis) si tratta nell’investimento?
Allora l’investimento è una proprietà dell’Altro e non è finalizzato al beneficio, ma comporta il racconto, la saga, comporta l’altro modo, l’inesauribile, l’assenza di fine.
Giovedì 16 giugno, La verità e il riso
Il compromesso fantasmatico, il compromesso con il fantasma materno è il compromesso con la verità e con il tempo. Compromesso che postula la negazione di entrambi.
La verità nell’esperienza della parola originaria non è cosa facile; non è l’avallo a un’alternativa in cui una delle due ipotesi diventa la verità. La verità è effetto della qualità. Per istituirsi come effetto esige la qualità. Non sta, per così dire, proprio a portata di ogni mano, la verità.
Se intendiamo la verità come un teorema, “Non c’è più nascondimento”, che è la nostra traduzione di alètheia allora non può esservi verità ultima, verità da condividere, verità da apprendere, verità da sapere. Ma la verità giunge come effetto della cifra. E il riso giunge come corollario della verità e della sua prova, che è prova di verità e di riso. E il riso si avvale della catacresi, dell’abuso. Non risponde al canone. E sorge e s’instaura per abduzione. Per la via dell’Altro.
Giovedì 30 giugno, Il tempo
Il principio del realismo nega il tempo. Questo principio non abolisce la ricerca di per sé, ma abolisce l’impresa. Questa abolizione toglie il fare e lo riduce all’automaticismo. Nella routine il tempo è abolito. Nella formula: “Dico le solite cose”, o “Faccio sempre le solite cose”, il tempo è negato e è instaurato il compromesso con il fantasma materno, il compromesso con il personaggio con cui ognuno si rappresenta o rappresenta l’Altro, negandolo. Le cose accadono perché interviene l’occorrenza. Qui interviene il tempo. Il tempo pertanto non c’è ontologicamente ma interviene secondo l’occorrenza nelle cose che si fanno. Facendo. Esige quindi anche l’instaurazione del gerundio.
Giovedì 7 luglio, Perché non c’è più evoluzione. Né progresso
La domanda non ha origine, non è spaziale. La domanda è l’altro nome della pulsione. Tende al soddisfacimento. Non ha un luogo di origine e non ha un luogo di fine. Il corso della domanda è senza evoluzione e senza progresso. Evoluzione e progresso esigono per rappresentarsi un punto d’inizio o di origine e il finalismo con la sua fine allusa. Importa l’itinerario, lo svolgimento, il corso delle cose, che essendo in viaggio costantemente non si dirigono alla fine del viaggio, ma alla loro qualità. L’evoluzione sottintende un’origine comune, l’idea di progresso si basa sulla finalità di bene.
Giovedì 14 luglio, L’ignoranza
Ognuno deve argomentare, dimostrare, giustificare quel che dice, quel che fa, quel che scrive perché non deroghi dal comune senso delle cose.
Non è ammessa così l’ignoranza originaria del numero. L’ignoranza (dell’)aritmetica. Questa ignoranza strutturale consente l’ascolto senza il riferimento a una significazione obbligatoria per via di linea. Qualora vigesse quest’obbligo alla significazione, l’ascolto ne sarebbe impedito. Questo distingue la cifrematica dalla psicoterapia: nella psicoterapia lo psicoterapeuta indica quale sia l’interpretazione corretta dell’accaduto, del pensato, del fatto, cose che vengono riassunte nella formula del “vissuto”. L’analisi invece determina la dissipazione del vissuto, la dissipazione della linea genealogica tra il presunto soggetto e il suo vissuto. Per la via del vissuto il soggetto è imposto: ognuno deve convincersi della realtà del personaggio alimentato dal vissuto. Questa è la finalità della psicoterapia: accettare il personaggio del presunto vissuto, cioè del fantasma materno di ognuno, accettando così la comune appartenenza di genere, di specie, di clan.
Senza l’ignoranza, la doppia ignoranza del parricidio e della sessualità, ognuno resta imprigionato nel personaggio tragico della fiaba, oscillante fra il positivo e il negativo, con il negativo da evitare sempre dinanzi a sé.
Giovedì 21 luglio, La direzione
La questione della direzione è questa: dove, quando, come interviene la restituzione. Interviene? Non interviene? Noi impariamo restituendo. Senza la restituzione, il soggetto trionfa. Il soggetto, cioè la figura della paranoia sociale. E allora ecco l’alternanza fra la bella e la brutta figura, l’idea della figura bella o brutta. L’idea del giudizio altrui, che è sempre giudizio negativo. E con ciò la paura. La direzione della domanda è la cifra.
Testimonianze di:
Daniela Sturaro
Come si svolgono gli incontri e perché costituiscono un appuntamento.
Gli incontri si svolgono con cadenza settimanale il giovedì sera, alla sala polivalente della Guizza alle ore 21. Le conferenze sono tenute dal Dott. Ruggero Chinaglia che, all’occorrenza, chiede se vi siano domande, questioni, proposte che possono essere attinenti al tema della serata o no; e che potrebbero essere utili per successivi incontri.
Si entra poi nel vivo della questione con l’analisi del tema stabilito nelle sue articolazioni e combinazioni in relazione alle istanze dell’attualità, dell’arte e della cultura. Viene poi lasciato spazio al dibattito, dove ciascuno può richiedere chiarimenti o partecipare le proprie esperienze e testimonianze. Sono sempre a disposizione del pubblico, per la visione e l’acquisto, dispense e libri editi da Spirali. Si accettano iscrizioni all’Associazione cifrematica di Padova e si invita ciascuno alle attività redazionali.
La concatenazione degli incontri segue un ordine logico preciso. E le tematiche affrontate concorrono a stabilire un percorso intellettuale che porta al sapere inedito. È un modo della restituzione in qualità di quel che si è ricevuto. L’uomo di oggi, sottoposto a stimoli di ogni genere, ha ridotto la sua capacità di ascolto e la comunicazione spesso si limita a uno scambio di luoghi comuni.
Ciascun incontro costituisce un appuntamento da non mancare per chi ricerca la qualificazione delle cose e del vivere senza più la paura della fine. La pulsione di sapere è forza che procede non dalla saltuarietà, ma dalla costanza.
Sabrina Resoli
Il titolo di questa serie di incontri, L’analisi, va letto in combinazione con ciascun tema proposto nei vari incontri: L’analisi e Il dispositivo, L’analisi e La libertà, L’analisi e Vivere senza paura… Accorgersi che un termine entra in una combinazione è già un’indicazione del funzionamento linguistico, di ciò che avviene parlando. Nessuna parola “significa”, ma richiede un dispositivo per la precisazione e la qualificazione, un dispositivo di parola per l’analisi, appunto.
Ciascuno dei temi indica qualcosa che ha incontrato l’analisi. Cosa comporta che, parlando, intervenga l’analisi? Comporta l’impossibilità del “parlar facile”, ossia per analogie o sinonimie. Parlando, non si usano i termini di un vocabolario, c’è l’invenzione di un’altra lingua. Lingua esigente, lingua incomune, che mira allo specifico, al qualis, alla cifra. Così interviene la precisione, con la quale ciascun termine indica una proprietà intellettuale. La tensione linguistica indica la dissipazione del soggetto e delle rappresentazioni di sé o dell’Altro, e marca lo statuto intellettuale cui l’analisi è indispensabile, costantemente.
Lucio Panizzo
Il tema delle conferenze di quest’anno è L’analisi. È un significante che è usato spesso in varie accezioni, e qui trova la sua specificità, differentemente dalla matematica, dalla fisica, dall’economia, dalla politica. In genere si parla di analisi per cercare di spiegare meglio una cosa, per illustrare un concetto, per rendere più chiaro e semplice un’idea, sempre facendo ricorso a ciò che è noto e dimostrabile. Nell’esperienza cifrematica l’analisi procede dall’assenza di fondamento, di sostanza e giunge proprio per questa via all’invenzione di qualcosa di nuovo e autentico nello statuto intellettuale.
Fernanda Novaretti
L’analisi. Questo è il titolo degli incontri in atto da settembre 2010 a luglio 2011, organizzati dall’Associazione cifrematica di Padova. Che cosa indica il termine “analisi”, che sembra entrato nel discorso e nel luogo comune, senza nessuna necessità di indagine? Qual è l’accezione in cui interviene nell’esperienza cifrematica? L’analisi interviene in un dispositivo di conversazione con l’interlocutore. E così le questioni possono trovare una formulazione non scontata e specifica. Altrimenti possono susseguirsi formulazioni che indicano la delega dell’analisi a qualcun altro: “Mi sembra di girare a vuoto, i problemi e le questioni si ripresentano e non trovo una soluzione; vivo come se fossi in una prigione”. “Io cerco di ragionare su ciò che mi accade, ma non riesco mai a capire se sono io che sbaglio o l’altro” Questi sono alcuni degli enunciati che, all’avvio dell’itinerario analitico, possono udirsi e che muovono dal disagio, necessitando dell’analisi. Il termine disagio, qui, indica l’assenza di riferimento alla psicopatologia o a un supposto agio da ripristinare, è inteso in un’altra accezione, particolare. Il disagio è modo dell’apertura e la domanda di analisi procede dal disagio.
Parlando il materiale del racconto si articola, di dettaglio in dettaglio e la struttura della parola si precisa. I termini non sono più quelli del vocabolario, bensì l’invenzione di un’altra lingua, in cui interviene quella che Freud chiamava il lavoro onirico, senza ricorso a riferimenti standard e tanto meno ai luoghi comuni. Quindi, nessuna psicologia è possibile con l’analisi, ma il riferimento è l’anomalia. Nessuna attribuzione della colpa e della pena o l’applicazione di criteri giustizialisti verso se stessi o gli altri.
L’analisi consente di indagare e reperire i termini della logica e della struttura delle costruzioni fantasmatiche che rendono la vita una prigione. Per questo motivo non si tratta di una ricerca della “soluzione”, ma del modo per fare, per concludere, del compimento.
Patrizia Ercolani
L’Associazione Cifrematica di Padova sorge negli anni 70 come associazione culturale, scientifica, artistica senza fine di lucro. Inizia l’attività promuovendo la lettura e i libri, ha proseguito organizzando eventi quali presentazioni di libri, mostre d’arte, dibattiti e corsi per instaurare dispositivi di parola, di scambio e di collaborazione con persone e istituzioni a Padova e in altre città. L’associazione è caratterizzata dall’apertura, dall’intersettorialità, dall’internazionalismo e dall’integrazione.
Il percorso e il cammino associativo muovono dall’esigenza pragmatica di contribuire alla civiltà della parola, puntando sull’insegnamento, sulla formazione, sull’ascolto, sull’intelligenza e scommettendo sulla qualità, che segue all’unicità di ciascun prodotto. Tra le attività si svolgono: equipe di scrittura, laboratori di ricerca, convegni, per la diffusione della scienza e della cultura della parola, dibattiti, incontri, rivolti a ciascuno che avverta l’istanza di trasformazione della vita con proposte, contributi e attuazione di progetti. Ciascuna attività va in direzione del progetto del secondo rinascimento ovvero l’integrazione di arte, scienza, cultura secondo la parola, secondo la sua logica.
Cecilia Maurantonio
Quel che ho capito dell’ascolto.
L’ascolto avviene per la disposizione di quel che si dice, nella struttura. L’ascolto delle cose che si dicono, si fanno e si scrivono sta fra la divisione e la piega, sull’orlo del malinteso. L’ascolto è importante non solo per l’intendimento che si effettua per senso, sapere, verità, ma anche perché è in direzione del capire e dell’intendere, effetti funzionali e temporali. Questo per indicare che l’ascolto non è lo stare a sentire.
Daniela Sturaro
Quel che ho capito del dolore.
Il dolore attraversa la vita di ciascuno. L’ideologia del benessere, che persegue la stasi del bene, fa apparire il dolore come stato di debolezza, fragilità da evitare e sconfiggere attraverso relax, vacanze, beauty farm, massaggi per il corpo e, quando non bastasse l’happy hour, ci sono altre vie come la magia, i farmaci, la psicoterapia. L’importante è non mostrare il punto debole per l’uomo di oggi, che assomma in sé il prototipo del funzionamento avanzato nell’attivismo, efficienza, decisionalità, divertimento, prestanza fisica senza cedimento alcuno.
E se interviene il dolore? Senza l’analisi il dolore diventa un abisso di infelicità. È vergognoso portare lo stigma dell’infelicità in un mondo dove tutti sembrano felici. Nella parola invece il dolore può essere incontrato e attraversato. Dal dolore originario che si incontra parlando, e che è senza drammatizzazione, può affacciarsi un’altra lingua e una lingua altra che dà come frutti meraviglia, gioia e paradossalmente la tanto ricercata felicità. Ma senza agognare la soluzione come chiusura del problema. È il modo dell’apertura che permette alle cose di giungere alla qualificazione. Il processo di qualificazione si ottiene instaurando il dispositivo di parola e l’ascolto di quanto di Altro interviene, anche nel dolore.
Cecilia Maurantonio
Quel che ho capito della parola.
Il verbo si fece carne, è la frase con cui incomincia il Vangelo secondo san Giovanni. Il verbo, la parola. Carne. L’incarnato, scrittura del colore, secondo l’oscuro, il punto vuoto della parola. Perché è il verbo a farsi carne e non viceversa? Proprio lungo la scrittura del colore è evidente l’impossibilità di potere fare riferimento o attingere, anche solo come spunto, a qualcosa di avvenuto. Il ricordo è impossibile. La parola per dirsi, per fare e scriversi esige l’astrazione con il punto d’oblio. E la dimenticanza mantiene il varco della spirale.
Fabrizio Moda
Quel che ho capito del padre.
Uno degli aspetti che più mi hanno interessato in questi incontri di cifrematica è la questione del padre. Il padre non è un fatto biologico, procreativo, non è sinonimo di papà, e già nell’uso comune sono utilizzati termini come “Santo padre” o “Padre della patria”, proprio per marcare questa differenza. Padre è chi indica la direzione di vita al figlio e non è per nulla detto che questa funzione debba essere svolta dal papà, anzi. “Non chiamate nessuno padre su questa terra”, ammonisce Gesù, perché nessun papà potrà mai essere all’altezza delle aspettative del figlio, e attribuire lo statuto di padre al proprio papà comporta automaticamente il tarparsi le ali, anziché uno slancio verso l’altezza offerta dall’idea di “padre”.
Occorre astrarre di più rispetto al luogo comune, arrivare a intendere che il padre è innominabile e inconoscibile e non rappresentabile, nemmeno dal Santo padre o dal Padre della patria. Confondere il ruolo del papà con l’idea di padre comporta problemi e lacerazioni, che sconvolgono la vita del figlio: dal figlio che si sente abbandonato dal padre, a quello che, dopo la morte del papà, vivrà per tutta la vita nel rimorso di averlo ucciso. Ma il padre non può abbandonare il figlio, perché il padre è una funzione della parola e non agisce.
Non deve cioè dare soldi, salute e successo al figlio, levargli le difficoltà dalla vita, ma indicare la direzione di vita. Gesù non è abbandonato sulla croce, difatti risorge! E il padre non può essere ucciso perché il padre è per definizione immortale, sopravvive cioè alla morte del papà, a indicare che il rimorso del figlio è fantasmatico, un’idea parassita diciamo così, che solo la “coscienza” del figlio riesce a vedere, nessun altro. E la coscienza è sempre la coscienza comune, quello che si pensa gli altri vogliano che noi facciamo.
L’elaborazione del lutto non è un atto di costrizione, di dolore e di pena più o meno protratto nel tempo. È l’assunzione di responsabilità.