IL COLORE DELLA VITA
Si inaugura venerdì 28 gennaio 2011, alle ore 18, nella sede della Galleria Samonà, in via Roma, a Padova, la mostra organizzata dal Comune di Padova, “Il colore della vita” di Cecilia Maurantonio, artista che attraverso un percorso di ricerca e di esperienza intellettuale sviluppato nel campo delle arti e della scienza della parola per oltre vent’anni, ha raggiunto un’identità artistica completa ed esclusiva, conseguendo risultati pittorici originali all’interno del panorama dell’arte contemporanea.
“Come pensare un quadro? Impossibile, ma si ascoltano le immagini” (Cecilia Maurantonio). Il colore della vita è il colore della parola. Impossibile raggiungerlo, prenderlo, fissarlo, vederlo. E’ tuttavia essenziale.
All’inaugurazione intervengono
Ruggero Chinaglia, psicanalista, presidente dell’Associazione cifrematica di Padova
Elisabetta Vanzelli, critico d’arte.
“Il colore della vita” è il titolo di questa mostra perché è ciò che risulta essenziale per l’artista. Ciascuna delle opere di Cecilia Maurantonio è una pagina di vita, una pagina che si è scritta nell’esperienza della parola. È opera originaria, e originaria è la sua novità. È testo, è ritratto, è paesaggio, è natura mai morta, nell’integrità.
Avvicinatasi all’Associazione cifrematica di Padova a partire dagli anni novanta, l’artista ha intrapreso un itinerario di analisi e ricerca clinica, artistica e culturale che l’ha portata a perfezionare la propria poetica, arricchendola di echi e suggestioni desunte dall’ambito della psiche e dell’inconscio.
“Da dove vengono le cose e dove vanno?”. È interrogativo frequente nella ricerca di Cecilia Maurantonio, che ha dato anche il titolo a alcune sue opere: è l’interrogativo che si appunta sulla questione dell’oggetto della parola, che è anche l’oggetto imprendibile della pittura, della scrittura. Dalla provocazione che l’oggetto costituisce, sorge la domanda che avvia la ricerca, l’impresa, la scrittura, la destinazione di ciascuna cosa. Qual è la procedura con cui ciò che si cerca si qualifica e approda al valore? Le opere qui in mostra testimoniano come questo interrogativo le abbia tessute. Ciascuna opera è un contributo all’indagine e la risposta non è mai l’ultima. Sono opere estreme quelle di Cecilia Maurantonio, mai ultime, mai definitive. Mai rappresentative di uno stile acquisito una volta per tutte o di una risposta data una volta per tutte. La ricerca è spalancata come la porta del cielo a nuove acquisizioni, avvalendosi della questione aperta.
Mostra organizzata dal Comune di Padova, nell’ambito di Universi Diversi,
con la collaborazione dell’Associazione cifrematica di Padova
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Informazioni e biglietti.
Ingresso libero
. Orario: dalle ore 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 18.30 (lunedì chiuso)
. Settore Attività Culturali – Servizio Mostre- tel. 049 8204529-4502
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Dal 28 gennaio al 27 gennaio 2011.
NOTE DEL MIO VIAGGIO
di Cecilia Maurantonio
Le opere qui esposte raccontano l’itinerario dove intervengono come scrittura della vita e del suo avvenire, dove la pittura pulsionale, senza volontà e pianificazione, è simultanea alla necessità di trovarsi tra le cose infinite, e all’occorrenza che esse, nel movimento che l’immagine acustica esige incessante, per altra curiosità, si traspongano in opera. Per capire e intendere da dove vengono le cose e dove vanno.
Dal principio, dalle sue virtù, la parola originaria. E il primo incontro con il sole e le ombre delle persiane e lo scalpiccio dei cavalli sulle chianche delle murattiane strade di Bari; e le chiacchiere delle donne nel cortile interno, tra bucati e rumori di piatti e pentole, che ora sanno di manicaretti iniziati alle cinque di mattina, ora di sapone alle cinque del pomeriggio; lì, nulla corrispondeva alla realtà. Le sensazioni, i profumi erano altri. E allusioni e altro ancora. La realtà estranea agli sfondi senza fondale, alle quinte senza numero ordinale, e il sogno della notte interveniva nelle capacità impersonali, con la profezia.
Questa natura dissidente, ma esigente, dove la forza del principio non ha esaurimento, e non è di qualcuno, ha scagliato una pietra vagante nella ricerca che non ha saziato mai la curiosità. L’arte non poteva viaggiare senza la cultura e senza la scienza. Intanto le circostanze e i pretesti entravano secondo logica particolare tra le cose da fare. La tecnica emergeva precisa secondo l’occorrenza. Giungeva e spariva nella dimenticanza, scrivendo la memoria di un itinerario imprevedibile.
Si racconta qui, come l’arte, la scrittura, l’immagine siano divenute elementi di scrittura della vita e del modo di vivere. Non ho sperimentato, perché non ho mai avuto nulla da manipolare, nessuna sostanza, nessun elemento noto; anche la conoscenza derivata dagli studi artistici è caduta sempre nella dimenticanza, nell’oblio della bellezza di ciò che si alterava col suono dell’immagine, di ciò che semplicemente si trova senza ideologia.
Come pensare un quadro? Impossibile, ma si ascoltano le immagini.
Nelle grafiche qui esposte, si tratta dell’apertura della parola originaria, da cui le cose procedono, e del modo dell’infinito. Apertura del cielo. Cielo e terra senza sfericità.
Da un punto aleatorio qualcosa incomincia senza possibilità di vedere dove andare, ma con la provocazione a fare e a cercare tra cose ignote. Causa anziché causalità.
Nell’astrazione gli occhi non sono aperti, non sono chiusi; ciò che appare è ciò che si ode come scrittura dell’invisibile e la sua insostanzialità incide sulla combinazione e sulla combinatoria scritturale. Insiste sulla struttura della parola con i suoi ghirigori. Quando l’immagine s’instaura, non c’è più la necessità di dividerla tra l’astratto e il figurativo.
Il rinascimento, i cartoni, la pelle. Arte, scienza e cultura risultano imprescindibili. Il corpo è immortale, procede con la scena originaria, quindi la pelle, la pellicola, il film.
Pensare di andare verso il piacere non è approdare alla soddisfazione, pensare il piacere è già un modo di significare il bene e il male. E così, anche ciò che può accadere come incidente di percorso, soprattutto se non desiderato, per esempio un tumore, non può costituire impedimento al proseguimento, perché sarebbe il modo di significare il male, di pensarsi predestinati a questo, aspettando la sua fine ineluttabile. La stessa parola tumore, l’iter terapeutico, se vengono significati, possono costituire solo una promessa di morte e si vivrebbe solo anticipando o rimandando la fine, significando ogni cosa come probabile ultima, insomma, morendo di paura ogni giorno. Il dolore del differire da se stessi contribuisce al sapere effettuale. È dolore senza coscienza, senza conoscenza possibile, senza rimedio. Provare a catalogare questo dolore sarebbe spazializzarlo, anticiparlo, consacrarlo, viverlo in prospettiva senza necessità.
Occorre che il programma si trovi sempre nella sua scrittura.
Avere organizzato questa “personale” in ciascun suo dettaglio ha implicato un’agenda di cose specifiche da fare, senza rimando. L’occasione è la provocazione a fare, l’esigenza di riuscita esige di farle. E la salute è l’istanza di qualità che indica la direzione. L’agenda è essenziale e non esclude gli imprevisti, che tuttavia non costituiscono alibi alcuno per non fare, ma contribuiscono all’attivazione di altre strategie, di altri dispositivi.
Questo fare non va in direzione di una finalità terapeutica o di distrazione dalla realtà. La realtà è un’idea che distrae dalla vita. Non c’è conoscenza sulle cose, ma l’esigenza che il progetto e il programma di vita si compiano. Allora, non c’è più la cosa bella o brutta, buona o cattiva, ma la riuscita, l’approdo al valore.
Questa mostra è giunta impellente nel programma della scrittura di questi ultimi vent’anni che ora esige di essere letta e qualificata, ancora.
Effettivamente, non è un mostra personale in quanto è scrittura del colore, e anche indice della direzione dell’avvenire, della piega della parola. La pulsione di riuscita è forte, infatti già un’altra serie di opere è pronta a prodursi e spinge al proseguimento e alla conclusione.
LA PITTURA ORIGINARIA
di Ruggero Chinaglia
Queste opere sono una testimonianza della vita e della sua scrittura. Sono testimonianza della vita in atto, vita originaria, non pensata o sperata secondo un canone ideale. La vita è in viaggio, non è “il viaggio” di ognuno. Così, in viaggio, la vita non soggiace più all’idea di fine. E si scrive: questa mostra, con le sue opere, con la scrittura che sta nelle opere è parte della biografia di Cecilia Maurantonio. Il colore della vita è il colore della parola. Impossibile raggiungerlo, prenderlo, fissarlo, vederlo. E tuttavia è essenziale, intoglibile.
Da quando incontro Cecilia Maurantonio per l’analisi e la direzione del suo itinerario intellettuale e nel contesto del programma artistico, scientifico, culturale dell’“Associazione cifrematica di Padova”, di molte di queste opere ho seguito il sorgere dall’idea e il cammino, la scrittura, la conclusione attraverso il racconto che Cecilia Maurantonio mi faceva. E ciascuna si è avvalsa del processo di qualificazione e delle acquisizioni fatte nel corso della sua esperienza cifrematica. Indicano la valorizzazione della sua ricerca e della sua scrittura.
Ciascuna dice in che modo ciò che è giunto per lei all’astrazione, si è avvalso dell’analisi. Secondo l’anomalia, senza conformismo o conformazione.
L’analisi non è il contrario della sintesi, né vi si correla, né è finalizzata alla sintesi. Non è il processo di scomposizione dell’intero per ricomporlo uguale o diverso. Con l’analisi è impossibile la sintesi. L’analisi altera ciascun elemento. L’intero non è la somma dei suoi componenti, né mai può rompersi, frantumarsi, scindersi o togliersi. L’analisi procede, quindi, dall’intero e la sua procedura, come per ciascuna cosa, è per integrazione. L’intero non manca di nulla, tuttavia mai è completo e quel che si aggiunge non colma nessuna mancanza.
Il dettaglio marca la differenza tra una cosa e l’altra cosa e con l’analisi offre la chance d’inventare e acquisire qualcosa di nuovo. E la vita si avvale anche di un’altra piega.
Da dove vengono le cose? Da dove viene la luce? Questi interrogativi intorno all’andare e venire delle cose si pongono in assenza dell’idea di origine e di morte. Per ragioni di salute.
Ciascuna delle opere di Cecilia Maurantonio è una pagina di vita, una pagina che si è scritta nell’esperienza della parola. È opera originaria, e originaria è la sua novità. È testo, è ritratto, è paesaggio, è natura mai morta, nell’integrità. E non a caso la sua pittura avviene prevalentemente sulla carta: foglio, pagina, tavola, arca. Disegno e scrittura. La carta: quanto di più materiale come tessuto, la cui piega non si stira, non si appiana, ma indica lo squarcio temporale senza rimedio.
Inutile cercare una rappresentazione della realtà visibile. Ciascuna opera compie la scrittura dell’immagine invisibile e ignota che si avvale della traccia e approda al tipo. E ciascuna opera procede dall’apertura e dai suoi modi.
Il racconto si dispone non già secondo la cronologia dei fatti, ma secondo la particolarità della vicenda e del pretesto e si avvale delle acquisizioni intellettuali dell’esperienza. La narrazione segue l’istanza della qualità e indica le vicissitudini di cui si è avvalsa la ricerca. Sono qui narrate anche pagine della famiglia, del matrimonio, delle figlie, della fede nella riuscita, di gioia e dolore, dell’istanza di qualità, della ricerca costante della tranquillità, della serenità e del valore: e la scrittura le restituisce in qualità, trasponendole nella pittura.
Alcune opere compiendo la parodia della geometria, indicano l’insituabilità dell’origine pur cercata, e che il “dove” di cui si tratta quanto al va e vieni di ciascuna cosa, non è rappresentabile, non è situabile in una spazialità, in una cronologia o in un apparato conformista.
“Da dove vengono le cose e dove vanno?”. È interrogativo frequente nella ricerca di Cecilia Maurantonio, che ha dato anche il titolo a alcune sue opere: è l’interrogativo che si appunta sulla questione dell’oggetto della parola. Anche oggetto imprendibile della pittura, della scrittura. Dalla provocazione che l’oggetto costituisce, sorge la domanda che avvia la ricerca, l’impresa, la scrittura, la destinazione di ciascuna cosa. Qual è la procedura con cui ciò che si cerca si qualifica e approda al valore? Le opere qui in mostra testimoniano come questo interrogativo le abbia tessute. Ciascuna opera è un contributo all’indagine e la risposta non è mai l’ultima. Sono opere estreme quelle di Cecilia Maurantonio, mai ultime, mai definitive. Mai rappresentative di uno stile acquisito una volta per tutte o di una risposta data una volta per tutte. La ricerca è spalancata come la porta del cielo a nuove acquisizioni, avvalendosi della questione aperta.
In ciascun quadro è dissipato l’antropomorfismo, il cedimento alla rappresentazione di una realtà visibile e tangibile secondo il luogo comune e il senso comune, che negano l’astrazione. Nessun cedimento alla chiusura, alla fine del tempo rappresentata in una verità ultima che darebbe il senso umano, morale, sociale alla storia. Non c’è qui nessun cedimento a una morale della favola che potrebbe consentire di economizzare l’itinerario svolto per inserirlo in un’algebra del bene o del male o del valore. Emerge l’aritmetica di cui si avvale la lettura dell’opera. Emerge il ritmo che invita a accogliere il messaggio che la lettura rilascia.
L’antropomorfismo è il rifugio di ogni dottrina. Contro l’astrazione, contro l’anomalia che esige l’ascolto in assenza di rappresentazione, contro il modo della novità originaria, l’antropomorfismo è il freno che ogni relativismo culturale contrappone alla parola libera. Relativismo culturale: possiamo chiamarlo anche mentalità, comodità, abitudine. Finché ognuno è occupato a dimostrare la normalità della sua psicologia, finché tutti debbono dimostrare la normalità dei loro pensieri e delle loro azioni, finché ognuno si deve giustificare per quanto deroga dalla “normalità” accettata e condivisa, la prescrizione allo standard prevarrà su ogni istanza inventiva e scientifica nuova.
L’antropomorfismo nega l’humanitas, quel terreno dell’Altro, quell’humus da cui sorge l’invenzione per anomalia. La questione aperta, senza cui non c’è assoluto, ha tra le sue caratteristiche l’inconciliabile. Tra positivo e negativo non c’è conciliazione, né mediazione: la nozione di sintesi è assurda. Non c’è da scegliere. La vita è senza alternativa.
L’humanitas di cui si avvale la sua pittura indica che è impossibile economizzare il fare. E trae alla generosità. Non c’è turbamento in questi quadri per un’idea di ostilità o di inimicizia. Emerge la tranquillità, grazie a cui la traversata si compie, secondo l’occorrenza. E nessun ordine del mondo nella pittura, nella vita di Cecilia Maurantonio, ma l’ordine della parola che esige l’umiltà, l’intelligenza, l’indulgenza, l’obbedienza, l’ascolto per concludere alla qualità e al valore.
Il colore della vita ha ispirato e dato il titolo a questa mostra perché il colore della vita è ciò che risulta essenziale per Cecilia Maurantonio. Colore che mai può venire rappresentato dalla colorazione, colore che rimane invisibile a causare la pittura stessa, il racconto, la scrittura.
E da queste opere, dai testi che qui sono esposti emerge anche l’entusiasmo, la forza con cui Cecilia Maurantonio segue la direzione verso il valore.
Qual è la lingua in cui Cecilia Maurantonio racconta, dipinge, scrive la sua esperienza? Non è la lingua comune, non è la lingua di tutti. È un’altra lingua e una lingua altra. Capire questa lingua, ascoltarne le sfumature, intenderne i sussurri, ascoltarne il messaggio, questa è la proposta e la scommessa. A ciascuno l’audacia di accoglierla.
LA PITTURA COME ESPERIENZA DI VITA
di Elisabetta Vanzelli
il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di essere percepiti come contraddizioni.
André Breton, secondo Manifesto surrealista, 1930
Come in una sorta di horror vacui, nelle opere pittoriche di Cecilia Maurantonio filamenti e intrecci imbevuti di luce, grovigli e chiazze cromatiche si estendono e si dilatano alla maniera di flussi magmatici, all’interno di una spazialità rigorosamente bidimensionale.
Talvolta, dalla loro mescolanza, prendono forma figure umane, quasi unicamente volti, o meglio dire maschere, più che volti, se si considerano le distorsioni prospettiche, l’informità della massa e la sua cedevolezza, scaturite da una rapidità materica carica di accenti informali. Sono per lo più connotazioni minime, sagome stilizzate e flessibili che simulano sguardi o figure appartenenti al mondo antropomorfico, sostenute da un moto vitalistico che ne anima l’essenza e le alterazioni.
Si percepisce, in tutto ciò, un senso di estrema mutevolezza – contrario a quella perentorietà del reale che, come vedremo, Cecilia Maurantonio intende contestare – come se queste simulazioni corporee stessero per dissolversi da un momento all’altro, secondo lo stesso principio di casualità che ha dato loro origine.
Del resto lo spazio, privo di gravità, è uno spazio lavico, nei cui strati inferiori di materia si radica la vita. Nuclei, steli, corpuscoli, bulbi oculari, sono tutti frammenti minimi di forma elementare che richiamano lo sviluppo di microrganismi germinali e riecheggiano, per l’appunto, episodi fitomorfici di stampo surrealista.
Inaspettatamente, convivono in questa mescolanza di intrecci e grovigli, forme regolari del tutto divergenti, vale a dire moduli geometrici di estremo rigore plastico e formale. Conferendo equilibrio e compostezza alla scena, tali scansioni si replicano in strutture e dimensioni differenti, talvolta risolte in soluzioni ad incastro o più semplicemente distribuite in successione.
Colpisce come a partire da questi nuclei geometrici, apparentemente statici e inerti, si articolino quelle morfologie variabili e discontinue di cui detto prima.
E ancora, se è vero che essi suggeriscono un diverso approccio meditativo da parte dell’artista, di ordine intellettuale rispetto all’istintività da cui le forme più insolite sembrerebbero dipendere, è altrettanto necessario sostenere, per una corretta lettura contenutistica dell’opera, un’interpretazione non fenomenologica che Cecilia Maurantonio elabora come atto razionale. Di fatto l’opera, che si sviluppa a partire dall’unione di vari elementi, siano essi di natura oggettuale, psichica o metafisica, è nondimeno sorretta, nell’apparente contraddizione, da criteri meditativi di ordine critico che ne sublimano frammenti e corrispondenze.
E in effetti, anche dove ci siano innegabili punti di partenza riconducibili al dato reale ne danno prova titoli come La pelle, Deposizione di Cristo, Paesaggio, e i molti Ritratti l’artista, lontana da un ricorso a stereotipi figurali, rilegge e ristruttura liberamente il significante, modificandone il suo valore.
Fondamentale, a tal proposito, si è rivelato il percorso di analisi e studi che la Maurantonio ha intrapreso, negli ultimi decenni, presso l’Associazione cifrematica di Padova, in seno alla quale ha sviluppato il proprio orientamento di pensiero.
Sostenendo una ricerca artistica che rifiuta l’oggettualità dell’arte in quanto tale, l’artista ha abbracciato un metodo operativo che vede nella scrittura e nella parola originaria un’occasione di rinascimento, a partire dalla quale è possibile riconsiderare l’intero ambito rappresentativo.
Le presenze del mondo sensibile così come l’istinto e la pulsione secondo l’inconscio, svincolati da logiche e consuetudini tradizionali, recuperano dunque la propria autenticità originaria ed il proprio carattere costitutivo.
Quanto all’aspetto cromatico, non ancora affrontato, è sufficiente considerarne le proprietà costruttive per intendere il ruolo di cui esso partecipa. Steso secondo un uso non naturalistico dal gusto a tratti decorativo, dispiegato in campiture intrise di luce, dissonanti per tonalità o alternate nei complementari, il colore vive, nelle opere di Cecilia Maurantonio, di qualità ritmiche ed energetiche di primissimo rilievo. La materia si evidenzia densa e vibrante, nelle sezioni più indefinite così come in quelle di maggior omogeneità, creando una particolare forma di dinamismo, cromatico per l’appunto, che raggiunge esiti di intensa espressività e che caratterizza l’intera produzione dell’artista.