La parola, l’esperienza come disturbo, la cura
- On 17 Gennaio 2019
- Dalla Val Sergio, Ruggero Chinaglia
Giovedì 17 gennaio 2019, alle ore 20,45, nella Sala dell’Angelo del Quartiere Santo Stefano, in Via San Mamolo 24, a Bologna, nel quadro del corso La vera cura, diretto da Sergio Dalla Val, brainworker, psicanalista, cifrematico, Ruggero Chinaglia, psichiatra, psicanalista, cifrante, presidente dell’“Associazione cifrematica di Padova”, tiene la conferenza
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La parola, l’esperienza come disturbo, la cura
La vita è la parola originaria e vivere è farne l’esperienza. Il dispositivo dell’esperienza si avvale della domanda secondo la particolarità della parola e non è naturale, né biologico. Che cosa è più ignorato della domanda da quanti propongono rimedi, conosciuti o nuovi, ai cosiddetti disturbi della vita equilibrata e sana? Che cosa risulta più generico dei rimedi proposti socialmente, che debbono valere per tutti?
I precetti della gnosi, che si esaltano nei guasti del realismo psichiatrico, psicopedagogico, sociologico, sono proposti e diffusi per l’abolizione della parola: negazione delle proprietà linguistiche, negazione dell’intervento del tempo in ciò che si dice e si fa, negazione del transfert, negazione della memoria. Con l’adesione allo spiritualismo gnostico, l’idea di sé o dell’Altro, che ognuno ha acquisito, o di cui ha sentito dire, o ha creduto di dovere rappresentare diventa predestinazione di sé, veggenza di sé, idea di essere o di dovere essere; idea reale. Se queste rappresentazioni non trovano il dispositivo intellettuale e cifratico per dirsi, analizzarsi, narrarsi, raccontarsi diventano il ritratto, lo stemma, la carta d’identità; diventano il passaporto per il compromesso con l’idea di sé e la reciprocità. Vivere è senza rimedio. La cura non è il rimedio ai mali dell’uomo.
La cura non può essere finalizzata all’ideale armonico della guarigione da un male, perché si risolverebbe nell’adeguamento sociale, nell’adeguamento a un ideale conformistico, finito, spaziale, sostanziale, geometrico o algebrico. La “cura” che si prefigge l’apparato della salute mentale è l’utopia dell’idea di salvezza, quindi è la “cura” sotto le insegne del sacrificio redentivo. È l’accettazione della morte, del comune fine di bene, del rimedio cronico beneficiante. È la “cura” evolutiva o progressista. La “cura” unica, uniformata, la “cura” senza parola è oggi il modello di “cura” applicata. Una forma di rito iniziatico alla ideale salute e sanità pubblica.
Tutto ciò impedisce la cura del tempo, la vera cura.