- ATTIVITÀ ANNO 2015
- Il Sé. Tu, Io, Lui
- L’inconscio, la scrittura 1
- La promessa della felicità
- L’inconscio, la scrittura 2
- Il disagio, la difficoltà, lo stress e l’abuso di sostanze psicoattive
- La festa, la sessualità, l’odio
- La scuola e le sostanze di uso voluttuario
- L’interlocutore per la salute. L’interlocutore per la vita
Da marzo ad aprile 2015, ciascun giovedì alle ore 21, presso la Sala di Palazzo Eurobuilding, in Largo Europa 16, 1° piano, scala A, a Padova, si tengono gli incontri con dibattito, diretti da Ruggero Chinaglia, medico, psicanalista, cifrematico, sul tema
L’INCONSCIO, LA SCRITTURA – prima serie
Questi incontri si rivolgono a chi è provvisto di curiosità e spirito costruttivo e non si accontenta del dibattito televisivo, né della versione canonica dei “fatti”, né delle verità condivise e accettate, né della vita standard. I modi di dire, i proverbi, i luoghi comuni, gli slogan sono pretesti per la ricerca, perché la verità si effettui. La verità non ha amanti, ma ricercatori. Proponiamo una ripresa del termine inconscio, per indicare la sua attualità e la sua imprescindibilità dall’atto di parola. Non c’è modo di sbarazzarsene anche tentando di negarlo.
La conclusione, il compimento, il risultato esigono la scrittura. La scrittura, che non è “la parola scritta”, esige il processo interminabile della qualificazione e della valorizzazione. Come avviene? Come si scrivono le cose? E dove? E quando? Qual è la sua lingua?
Quando il motto “una volta per tutte” si apre al caso di “questa volta”, allora può cominciare la scrittura. Quando il fare non è rivolto alla sua fine, come dice il motto: “Non vedo l’ora che sia finita”, ma la domanda, l’esigenza, l’occorrenza, secondo il disegno e il programma, non possono essere rimandate, allora c’è la chance che esse si scrivano. Senza alternativa fra il compito e il dovere. Molti si attendono dall’avvenire frutti copiosi, abbondanza di risultati, una vita migliore, ma come si dispongono a questo? Secondo quale logica? Niente avvenire, senza la scrittura.
Attraverso vari temi, tra cui: Dove sta l’inconscio – Le donne, la differenza – Il mito di Penelope – La realtà e il reale – Il vento e la fronda – Il filo della scrittura – Il posto e la posizione – Cosa si scrive? – Iniziare e finire, cominciare e concludere – Il giusto e la giustizia – Il lieto fine, è affrontata la questione della formazione intellettuale che sta alla base di ciascun lavoro, intrapresa o professione. Dall’azienda, alla banca, alla scuola, al tribunale, all’ospedale, alla pubblica amministrazione l’assenza della formazione alla parola trae con sé la fantasmatica della palude, o della vita infernale, che invoca per lo sbocco un incantesimo o la sua fine, come in ogni fiaba.
Giovedì 5 marzo, L’inconscio, la scrittura
Il termine inconscio è usato con molta facilità, come se fosse noto a tutti, salvo poi incorrere in imprecisioni e pressapochismi quanto a ciò di cui si tratta. Il termine inconscio prende avvio con Freud. Unbewusste lo chiama. Contro ogni primato della coscienza e della conoscenza che dovrebbe caratterizzare la scienza e quindi l’uomo, Freud indica la caratteristica dell’inconscio nell’ignoranza. Ignora la contraddizione e vanifica il principio di non contraddizione, essenziale a ogni discorso e ignora il tempo, nella sua rappresentazione per esempio della durata o della successione.
Giovedì 12 marzo, Dove sta l’inconscio
Intorno a ciò che costituisce la questione intellettuale per eccellenza, sono fioriti e continuano a fiorire mitologie, fantasie, credenze, pettegolezzi con lo scopo di negare ciò che impedisce l’affermarsi dell’uniformità di pensiero. Non a caso ogni regime, anche di differenti appartenenze ideologiche, si è trovato concorde nell’osteggiare la psicanalisi e la particolarità che contraddistingue la sua esperienza. L’inconscio, come nota già Freud, ignora la contraddizione e il tempo rappresentato nella durata e nella cronologia, impedisce il sapere sistematico sulla mente e sulla psiche. L’inconscio non è un organo, non è un discorso, non è un programma, non è una scheda, non è un chip, non è un crittogramma, non è la faccia oscura della coscienza. Di cosa si tratta quindi? E, soprattutto, dove sta?
Giovedì 19 marzo, Maternalismo
Concessione, protezione, giustificazione, argomentazione, dimostrazione, severità, empatia, cedimento, pazienza, reciprocità, comprensione, culto della madre, culto del figlio, pedagogia, sublimazione, degradazione, abolizione della sessualità, matricidio, alternativa, compatimento… In quanti altri modi si può chiamare il maternalismo?
Giovedì 26 marzo, Il lieto fine
“Alla fin fine…”, “Tutto sommato…”, “In fin dei conti…”. In quanti altri modi può entrare in ciò che si dice il fantasma della fine, l’idea del finito? L’idea del finito è anche idea della morte, della fine del tempo. Nessuno, però, ammette o tollera di pensarci. Nemmeno chi, a ogni piè sospinto, chiede o si chiede quanto qualcosa dura, ossia quando finisce. Oppure, quanto ci vuole per fare questo o quello. Quanta forza? Quanta energia? La quantificazione dell’energia prelude all’idea di potere quantificare il tempo, facendone quindi una rappresentazione lineare. Il lieto fine è una modalità della fiaba, che invoca per lo più il deus ex machina, ossia il risolutore, l’agente della soluzione, come rappresentazione dell’idea di farmaco.
Giovedì 2 aprile, Quale realtà?
Dato che ciascuna cosa si dice e accade secondo la logica particolare che è l’inconscio, in quale realtà si situa? C’è forse da credere che la realtà inconscia stia nell’altra faccia della Luna, mentre dinanzi c’è la realtà comune, la realtà convenzionale? Poiché ciascuna cosa entra nella parola e si rivolge alla cifra, la realtà non può essere convenzionale, non è la realtà dei fatti, non è dimostrata dai dati, non è quella dei ricordi, non è immobile. La realtà è in costruzione, esige la narrazione, il racconto. E la cosiddetta realtà psichica è la rappresentazione fantasmatica delle “proprie idee”. Quale principio di realtà? E quale prova?
Giovedì 9 aprile, Che facciamo noi qui
L’esperienza della parola non è autoreferenziale. Esige la testimonianza non gergale, per cui altri si accorge di un altro modo di parlare e di fare. La lingua della parola non è volgare. Ciascuno parla un’altra lingua, che non segue il canone della mediocrità o della normalità. E l’intendere avviene nella lingua della proprietà intellettuale, secondo le proprietà della parola e la sua logica, non secondo i convincimenti del discorso comune. “Non c’è più categoria comune”! Questo è il teorema che indica il viaggio in corso verso la valorizzazione.
Giovedì 16 aprile, La promessa
Ogni rivendicazione, ogni protesta, ogni recriminazione sorge in nome di una presunta promessa ricevuta. Caratteristica comune al discorso politico, nelle sue varianti ideologiche, religiose, pedagogiche è la promessa di un avvenire migliore, con il miraggio della salvezza, del successo, del benessere, della liberazione, della guarigione, di una positività totale posta nell’avvenire. E questo diventa utopicamente il fine e/o la fine della vita, nell’attesa della moratoria. Il bene promesso è rappresentato nella forma di un profitto e ognuno si chiede se sia abbastanza, se sia giusto o ingiusto, se sia conforme alla promessa. Chi stabilisce la corrispondenza fra la promessa e il profitto? Con chi prendersela? E chi è il promittente? Vale come rimedio la prescrizione di “pensare positivo”?
Chi si rappresenta il paradiso come promesso vive nella pena di perderlo. Prova allora a cercarlo, per occuparlo, ma la ricerca è vana: ne segue l’utopia, o il conformismo o il compromesso. Solamente con la promessa assoluta la missione trova la sua direzione.
Giovedì 23 aprile, La felicità. Dove, come, quando
La felicità non è reale. Se la felicità fosse reale sarebbe uguale per tutti. Sarebbe dispensabile, proponibile, possibile. La promessa della felicità è la promessa di una felicità certa in quanto possibile, ipotetica.
La felicità reale è ipotizzata dal discorso della festa ossia il discorso che prescrive la festa per sostenere e sopportare l’idea della morte. Il discorso della festa è il discorso della morte e della sua tentata economia, è anche il discorso del fatalismo negativo. La felicità, che si effettua nell’intervallo della vita, sta nel giardino dove fioriscono la dimenticanza e il sogno.