Dal 3 febbraio 2005, ciascun giovedì, alle ore 21, nella Sala del Convento delle Zitelle, ex Chiesa, via ospedale 26, a Padova, con il Patrocinio della Regione del Veneto e del Comune di Padova, conferenze con dibattito di Ruggero Chinaglia, medico, psicanalista, cifrematico, dal titolo
L’INCONSCIO E LA QUALITÀ DELLA VITA
Moltissime sono le credenze intorno all’idea dell’inconscio, come “luogo”della mente in cui giacciono i ricordi spiacevoli, come in un buco nero. Ciò che non si capisce si dice che è una cosa inconscia. Ad alimentare questa generale e diffusissima diffidenza verso l’inconscio è anche l’idea del passato e del vissuto, come qualcosa di fisso, che è stato e non può essere cambiato, da rimpiangere o da fugare e che caratterizzerebbe le persone al punto da far loro dire “il mio passato è questo, quindi io sono così”.
La novità di questi incontri sta nel proporre un’ altra accezione di “inconscio”, per cui non si tratta più dei ricordi, ma piuttosto di intendere il materiale fiabesco relativo alla propria storia, che quindi non è più personale.
L’inconscio è la logica particolare di questo racconto e occorre che venga intesa, elaborata e attraversata affinché intervenga la memoria.
Può accadere allora di trovare i modi per cui ciascuna volta, nella vita, nel lavoro, in ciascuna cosa si possa incontrare l’effetto di qualità di ciò che si sta facendo.
Giovedì 3 febbraio, Ancora l’inconscio perché chi crede di evitarlo finisce col non ragionare
In nome della trasparenza la civiltà cosiddetta contemporanea tenta di abolire la parola a favore della chiarezza della visione. Le cose devono essere chiare, trasparenti, visibili, come immobili. Senza racconto, senza narrazione, senza ragione linguistica. Questa è l’ontologia delle cose. Senza ontologia invece è la parola. E questo è difficile da accettare per chi crede nel fondamento e cerca prima di tutto il fondamento su cui aggrapparsi. L’inconscio è la particolarità, la logica particolare secondo cui ciascuno, ciascuna cosa diviene cifra. E ciascuno diviene cifra. Qualità della parola che segue all’effetto della differenza che si scrive. Logica senza ontologia. Logica attuale. Particolarità attuale. Non logica fondamentale. È una rivoluzione nel panorama intellettuale. Non si tratta più del libero arbitrio come forma della liberazione da una predestinazione per volontà divina a una predestinazione naturale, la morte, ma dell’arbitrarietà della parola.
Giovedì 10 febbraio, La ricetta del piacere
Il piacere è sessuale. Piacere temporale. Esige il futile, ossia il tempo che non si consuma. Il principio del piacere è il principio del piacere come fine. Che la parola concluda al piacere con il suo approdo alla qualità, non vale a introdurre il piacere come fine, per la sua imprevedibilità e irripetibilità. La procedura è inconscia, non conosciuta né conoscibile.
Come promettere il piacere? Questo è il problema di ogni ideologia, di ogni religione, di ogni regime che si istituisca sull’idea di padronanza e di controllo. La promessa del piacere per lo più si associa al suo rimando: nel al di là, in un domani, nell’alternativa fra feriale e festivo, fra dovere e piacere, fra sacrificio e piacere, il piacere dell’alternativa, nell’alternativa.
La promessa del piacere istituisce la credenza in una possibile padronanza e controllo del piacere e della procedura per conseguirlo.
Giovedì 17 febbraio, La parola, la salute, la vita secondo l’inconscio
In direzione della qualità va il viaggio della vita, la vita come viaggio. Il viaggio, la navigazione, la nave, l’arca, la parola originaria. L’esplorazione. Il flusso. Può il viaggio fare naufragio? Può la vita naufragare? E chi è il naufrago? L’idea di naufragio procede da quella di origine: ne deriva l’algebra o la geometria della vita. Naufrago sarebbe chi conosce la meta, la destinazione, il punto di arrivo. Chi sa di avere rotto la nave, chi sa quale sia la nave. La nave è una? È unita? È caratterizzata dall’unione? E il frammento indica la rottura della nave? Il suo naufragio? La fine della navigazione? Il frammento partecipa della nave, è un aspetto della nave. L’idea di rottura è una rappresentazione del tempo con la sua rapina e con la sua violenza.
Giovedì 24 febbraio, Di una scienza che non è sperimentale. L’oggetto della cifrematica
La medicina non è una scienza sperimentale. Il caso di salute, il caso di guarigione, il caso della cura non sono ripetibili, non entrano nel discorso della cura, nel discorso della medicina, nel discorso della malattia che è il discorso della morte. L’unico, lo specifico, la qualità contrassegnano la scrittura del caso in direzione della cifra.
Dove sta la cura? La sua sede è il processo temporale che va in direzione della cifre, che si scrive, si precisa, si qualifica. La cura esige dispositivi di qualificazione perché l’istanza che regge la cura, che la dirige, è la salute come istanza di qualità. La cura è pulsionale, non è uno scivolamento dovuto all’inerzia verso il destino segnato, né il trattamento della materia inerte da parte di un esperto manipolatore o trattatore che la riconduca alla forma perduta. Non c’è restitutio in pristino, non c’è ritorno allo status quo ante.
Giovedì 3 marzo, L’interlocutore ignoto
L’interlocutore: di cosa si tratta? Non chiunque è interlocutore. Si tratta dello statuto intellettuale per cui parlare è l’idioma e non il pettegolezzo. Lego in greco, indica appunto il parlare, ma non il blaterare. Parlare è nello statuto intellettuale, dove si tratta delle proprietà della parola, dei cifremi, della qualità della parola, secondo la logica.
Interlocutore è innanzi tutto il dispositivo di parola in cui questo accade: dove mai lo statuto intellettuale è lasciato perdere.
Giovedì 10 marzo, Chat line: l’amante senza volto
Questa sera, il libro che ci fornisce il pretesto di questo incontro con dibattito, non è della casa editrice Spirali, è delle edizioni del Labirinto e Silente cavalleria di primavera, Spirali, e si tratta di Chat line, l’amante senza volto. Il dibattito è coordinato dal dott. Ruggero Chinaglia, cifrante, con interventi di Concetta Ardito, Mauro Rampin, Cecilia Maurantonio. L’ampia diffusione che le chat-lines hanno incontrato, indica l’esigenza di parola e di scrittura che è intoglibile e che è pronta a trovare sempre nuovi dispositivi per attuarsi. Indica anche una struttura della comunicazione che non è meramente “tra” le persone, ma esige l’ascolto di una “voce fuori campo” che colga le contraddizioni e le sfumature di quel che si dice, rivolgendosi altrove rispetto a quanto ritenuto dai luoghi comuni più diffusi.
Il libro di Piero Colle, con i suoi protagonisti, offre molti spunti di lettura, di riflessione e di dibattito.
È il dispositivo della parola, il dispositivo della scrittura che anche questo libro di Colle, in qualche modo, evidenzia, proprio perché, come notava prima, la conversazione, lo scambio di messaggi, di lettere, di parole comincia con il nick-name; dunque c’è un nick-name. Di che cosa si tratta nel nick-name? Di un nome. Certamente, il nome non è il nome del nick-name, ma certamente qualcosa del nick-name evoca il nome indicibile e anonimo. E dunque da questo nick-name procede un’evocazione, un equivoco. A partire dall’equivoco, si avvia una conversazione, uno scambio, una scrittura e, dunque, il dispositivo di parola che è evocato e rilanciato dalla chat line e, soprattutto, direi, da questi racconti di chat, racconti di parola, racconti di scrittura.
Giovedì 17 marzo, Il superfluo e la necessità
La credenza esclude la necessità e il superfluo. Di che cosa si tratta quanto alla necessità? È una necessità che non è ontologica, non è prestabilita, ma è ora reale, ora contingente. Reale, in quanto necessità della ricerca, cioè la necessità che ha la ricerca di scriversi e di concludersi nella legge e nell’etica, e necessità contingente che ha l’impresa di concludersi, facendo quel che occorre fare. Questa necessità, dunque, si avvale della costrizione, come costrizione logica nella ricerca, quindi costrizione sintattica e costrizione frastica, e dell’occorrenza. Costrizione sintattica e frastica per quanto attiene alla ricerca, occorrenza pragmatica per quanto attiene all’impresa, quindi l’imperativo del godimento e l’imperativo del sapere e l’occorrenza del fare. Importa non già il vissuto, che è materiale cimiteriale, possiamo dire, giusto per il culto della reminiscenza, per il culto del passato, ma importa l’avvenire, il bilancio dell’avvenire, come l’avvenire si scrive, giunge a scriversi, quindi il programma e il progetto di vita.
Giovedì 24 marzo, L’assurdo
Surdus, ab-surdus, senza più sordità, senza più ottusità, senza più luogo comune, senza più la cappa del concetto. Assurdo, ossia l’impensabile, ciò che non rientra nei buoni pensieri, nella pensabilità, nella concettualità, nell’idea di sé, ciò che non rientra nel patto con il diavolo. Assurdo, quindi anche discordante, ciò che si trova nella discrepanza, ciò che rilascia un’eco. Assurdo ciò che è senza fondamento, dunque incredibile, ciò che non sta nella ragione comune e nel senso comune. Il contraddittorio è assurdo, il falso è assurdo, l’errore è assurdo, cioè, ciascun elemento, in quanto originario, incontra l’assurdo. Che cosa non è assurdo? L’idiozia, la normalità, la banalità, la pazzia. Quindi, assurdo è ciò che esige l’ascolto, l’intendimento, la qualifica.
Giovedì 31 marzo, Quisquiliae
Le quisquilie: ciò per cui è impossibile chiudere il cerchio, è impossibile la concettualizzazione, ma ciascuna cosa esige la precisazione, esige quindi il processo intellettuale, il processo di valorizzazione. La quisquilia introduce il tempo nel racconto e, quindi, indica che non c’è cosa uguale a un’altra, non c’è cosa in quanto tale, ma ciascuna cosa trova il suo valore per la via della differenza assoluta, per la via della differenza sessuale. La scienza esige la quisquilia, procede dalla quisquilia. La scienza come scienza della parola che diviene cifra, scienza, dunque, che procede di sezione in sezione, di dettaglio in dettaglio, di ritaglio in ritaglio. Come abolire il taglio? Questo è l’interrogativo della conoscenza.
Giovedì 7 aprile, Come la memoria si scrive
La questione della vita è la questione di ciascuno. Non tutti vivono, ma ciascuno vive in direzione della qualità. Ma questa direzione non è automatica, non è fatalistica, non è già data. Esige la parola, la parola con il suo scambio, la parola con la sua memoria come scambio. La memoria, cioè tradizione e invenzione, insegnamento e formazione. Perché, che ne è di una vita senza l’arte e senza la cultura? Ma è proprio il tradimento della memoria che instaura l’arte, e è il messaggio che procede da questo tradimento che instaura l’insegnamento. Insegnamento, formazione, tradizione e invenzione, arte e cultura. Di questo si fa la parola, di questo si fa la vita. E come interviene dunque la memoria? Come intervengono l’arte, la cultura, la tradizione, l’invenzione, l’insegnamento, la formazione? Come questo si scrive? Sta in questo come, dunque, la questione del destino, che dunque non è né questione di predestinazione né di libero arbitrio, libero arbitrio che è l’altro nome della predestinazione.
Giovedì 14 aprile, L’inconscio, la speranza, il destino
È lo statuto di dissidente a indicare quello della speranza in termini non soggettivi, in termini non personali, dunque intellettuali. L’idea del ritorno, del ritorno alle origini, del ritorno in patria, del ritorno alle proprie radici, è la stessa idea di mortalità, è un’idea senza speranza, un’idea cui è stata tolta la speranza. E che cosa resta, una volta tolta la speranza? Resta la certezza della mortalità. Ma di che cosa si tratta dunque quanto alla speranza? Sperare non è l’atto di speranza. Chi dice di sperare in un avvenire migliore, in una società migliore, in un domani migliore o di non sperare più, ebbene, non si situa nello statuto della speranza, ma in una mentalità, in una previsione dell’avvenire di tipo fatalistico. Non si tratta allora tanto di sperare nel futuro, ma si tratta del futuro come speranza, il futuro come speranza in atto. E il futuro non è l’avvenire: è il modo dell’inconciliabile, dunque potremmo anche dire il modo della relazione originaria, il modo del due, modo per cui non c’è genealogia, quindi modo dell’originario, ossia dell’assenza di origine. È con la speranza, che segue il modo dell’inconciliabile, che l’atto, che è pulsionale, si rivolge alla qualità. È con la speranza che la vita si rivolge alla qualità, non come speranza di qualità, ma come speranza assoluta, ossia come modo dell’inconciliabile, come modo della contraddizione assoluta, che mai può risolversi in una conciliazione.
Giovedì 21 aprile, L’inconscio, la genetica, il programma
La gnosi, in ogni sua forma, anche in quella apparentemente avveniristica, scientistica, tecnologica è sempre modo della superstizione, con la sua idea di padronanza: “Scopri chi sei per sapere cosa fare”. Questa la sua ricetta più recente propugnata in forma di Masters da alcune celebrate università, nella forma del pensiero sistemico che trova al sua punta nel pensiero detto circolare. L’uroboro, la coincidenza dell’inizio e della fine. La padronanza, il cerchio perfetto.
Non aveva torto il cardinale Josephus Ratzinger, non ancora Benedetto XVI, quando notava che l’epoca presente è sotto la dittatura del relativismo culturale. Di cosa si tratta nel relativismo culturale? Della New Age. Della gnosi, nelle sue forme del probabilismo e del possibilismo, che si riassumono nella calcolabilità dell’evento, imperano nella politica sociale, nella scienza sociale, nella comunicazione sociale, e che si traducono nel regno della statistica.
Giovedì 5 maggio, L’esperienza originaria
Come avere cura di sé e cura dell’Altro? La questione è gnostica e religiosa insieme; non attiene alla parola originaria. È l’idea di accesso diretto.
Altro conto è la cura della parola originaria come cura del tempo, cura in cui il tempo interviene nella ricerca e nell’impresa; cura che esige la fede, il sé, l’Altro, ma che si rivolge al valore e che sta nell’istituzione dei dispositivi necessari al programma di vita. Cura senza credenza nella salvezza o nella perdizione, senza alternativa fra la vita e la mortalità.
Cura per la salute, in direzione del valore, non per la salvezza. Il discorso medico, quello filosofico, ogni discorso che diventa disciplinare si pongono come salvatori, apocalittici o messianici, e la salvezza starebbe anche nel differimento della fine ineluttabile. Conoscere il differimento procederebbe dal conoscere la fine.
Giovedì 12 maggio, La cifrematica, la peste e il pericolo giallo
L’organizzazione, mette alla corda la clinica esigendo elasticità, flessibilità, l’inidentità, la catastrofe senza catastrofismo, l’intervento del tempo, l’assenza di ricordo, di matricidio, d’infanticidio, di alternativa. L’organizzazione si scrive con la clinica. E dissipa il fantasma materno. L’organizzazione è in direzione della qualità. Chi tenta di evitare l’organizzazione lo fa per affermare un’ontologia di sé e dell’Altro. In nome di questa ontologia variazione e differenza diventano il pericolo: pericolo dell’Altro, pericolo giallo. L’organizzazione è secondo la particolarità, è secondo la peste della parola. Nel suo gerundio la terapia.
Giovedì 19 maggio, Perché la vendita esige la sessualità
L’esperienza della parola originaria è l’esperienza del suo prodotto estremo, ossia l’esperienza della qualità. Perché questa esperienza si compia fino alla riuscita, importa non già la contemplazione, la rimemorazione, il ricordo dei bei tempi andati, ma la produzione con la restituzione in qualità, restituzione in cifra, restituzione in valore. Questa restituzione è senza risparmio, senza accumulo, è senza soggetto nella sua anfibologia tra il ricco e il povero, tra il misero e il capace. La restituzione, che è senza oblatività, esige il dispositivo intellettuale, esige la questione intellettuale, la questione aperta, esige il cervello come dispositivo intellettuale, dispositivo di direzione, dispositivo di battaglia, dispositivo, dunque, di qualificazione e il dispositivo per il commercio e per la vendita; non già il dispositivo per imparare e per sapere, per imparare a fare, ma il dispositivo per fare, per il commercio e per la vendita.
Giovedì 1 giugno, La tolleranza, il tempo, l’altro
Il dibattito sorto a proposito del relativismo culturale è un dibattito sulla tolleranza. Occorre distinguere fra tolleranza, tollerabilità e buonismo o bontà. Il discorso occidentale è il discorso del fondamentalismo, ossia il discorso che esige il fondamento su cui basarsi. Fondamento è l’altro nome dell’origine, ossia del luogo dell’origine, dell’origine significata, rappresentata, localizzata.