
Da giugno a settembre 2005, ciascun giovedì, ore 21, nella Sala Ex Chiesa delle Zitelle 26, a Padova, con il Patrocinio della Regione del Veneto e del Comune di Padova, conferenze con dibattito di Ruggero Chinaglia medico, psicanalista, cifrematico, dal titolo
L’ART AMBASSADOR. LA VENDITA, IL MESSAGGIO, IL VALORE
L’“Associazione cifrematica di Padova”, proseguendo le attività rivolte alla cittadinanza sul tema La questione intellettuale a Padova, città del secondo rinascimento. Arte, comunicazione, cultura, finanza, industria, scienza, tecnica, organizza una serie di dibattiti dal titolo L’art ambassador. La vendita, il messaggio, il valore, tenuti da Ruggero Chinaglia, con interventi anche di altri.
L’art ambassador, ossia l’ambasciatore dell’arte, è lo statuto intellettuale che, avvalendosi dell’ascolto e del ragionamento, reca al pubblico il messaggio di un’altra lettura delle cose e degli accadimenti, di un altro modo di fare. L’arte sta proprio in quest’altra lettura, grazie alla quale ogni presunta ontologia e sostanzialità delle cose non regge più. Ciascuna cosa è così libera di qualificarsi, di rivolgersi alla cifra. Quest’arte è arte della comunicazione, arte dell’ascolto, arte della clinica, della scrittura, arte della parola originaria.
Tutto ciò contribuisce anche a un’altra lettura dell’opera d’arte stessa, che consente una restituzione in qualità e valore di ciascuna opera.
Giovedì 23 giugno, I cannibali
Le conferenze sull’Art ambassador si svolgono nel quadro del progetto “La questione intellettuale a Padova, città del secondo rinascimento”, organizzato dall’Associazione cifrematica di Padova.
In che modo l’epoca, che propone di alimentarsi dell’amore di sé e dell’amore dell’Altro, trova il suo colmo nell’odio di sé o nell’odio dell’Altro. L’amore di sé tenta di svolgere il progetto di “diventare l’idea che ho di me”; il suo piacere sta nel rammarico di non riuscire a farlo. Rammarico essenziale, perché salva dalla psicotizzazione.
Il discorso occidentale sostituisce al transfert la delega al soggetto di amarsi e di amare il suo prossimo come se stesso. L’amore di sé e l’amore dell’Altro dovrebbero colmare, abolire il transfert, compiere la metamorfosi, realizzare il cambiamento. Il discorso schizofrenico e il discorso paranoico si abbracciano per attuare la missione di amarsi e di amare l’Altro fino al colmo della coniugazione di questo amore: l’odio di sé e l’odio dell’Altro. Ma come non accorgersi che l’amore di sé procede dalla colpa, dalla sua idealità e che l’amore dell’Altro procede dalla pena, dalla sua ideale somministrazione? Amarsi, pertanto, è il prodromo della vendetta, che si compie nell’amare l’Altro.
Giovedì 30 giugno, Come ciascuno diviene ambasciatore
Da dove viene la cultura e dove va l’arte. Da dove vengono le cose e dove vanno. “Dove” senza luogo e senza ontologia, senza discorso di padronanza. Senza luogo perché la sua sede è la parola.
Il transfert è l’ambasciatore della parola che diviene cifra. L’ambasciatore della parola.
Chi è l’art ambassador? Chi parlando testimonia della missione e del servizio intellettuale nel transfert. L’annunciazione, con la sua profezia, la comunicazione, il messaggio esigono l’art ambassador. E la missione non può svolgersi senza la vendita. E la vendita trae con sé la scrittura della vendita. Vendita senza transitività. Non c’è chi si venda o venda qualcosa: la vendita è intransitiva; non sta dove viene immaginata o collocata. La vendita e l’acquisto: il dispositivo dello scambio. La vendita non è un fine: è senza finalismo.
Giovedì 7 luglio, L’arte e la cultura inconsce
Chi pretende la forza evitando la logica e la struttura della parola, chi crede di potere giungere alla soddisfazione attraverso il rispetto della paura e delle proprie superstizioni, crede nell’animazione e nella soluzione finale.
Senza la forza, il viaggio va in frammenti e allora c’è chi prende un frammento e lo contempla; eventualmente ne prende un altro e lo contempla, facendo il raffronto con il frammento precedente; e sta nel suo frammento prendendolo per il mondo, rassicurato nella sua paura per il fatto di potere padroneggiare il frammento. E sopra tutto è temuta l’integrazione di quel frammento con il resto, con altri frammenti, perché perderebbe, in quel caso, il controllo e la padronanza, presunti, su quel frammento.
L’incontro con il cliente, con l’interlocutore poggia sul pubblico e conclude al valore. Senza appuntamento e senza valorizzazione niente incontro. L’incontro esige la conversazione, la narrazione, il racconto.
Giovedì 15 luglio, Il venditore. Perché si vende?
Tolto il viaggio, tolto il disegno del viaggio e della vita, tolto il progetto, tolto il programma di vita, ogni giorno trascorre o nel ricordo di un’improbabile età dell’oro, in cui tutto andava bene, o nelle reminiscenze di ciò che ha impedito o sbarrato il cammino verso l’ideale agognato e ormai irraggiungibile, in una prolessi della pena. La fine come pena è ciò con cui si esercita e si attesta il principio di padronanza degli umani.
Il toglimento del viaggio a favore dalla rappresentabilità e del ricordo della vita è toglimento della domanda. Come vivere senza domanda? Che ne è del pianeta senza offerta e senza domanda? Senza la vendita e l’acquisto? Che ne è di ciascuno senza lo scambio? Che ne è di ciascuno senza la qualità?
Giovedì 21 luglio, Lo smercio, lo spaccio, il commercio
Il commercio avvia lo scambio con cui le merci vanno e vengono, in direzione del mercato. Ma il mercato non è già dato, il mercato è frutto di un’invenzione, e il mercato è già nel processo di valorizzazione della merce. E dunque, se la merce è senza valore, è senza mercato: il mercato sorge dal processo di valorizzazione della merce. La merce stessa non c’è già, non c’è cosa che sia “la merce”, perché la merce non preesiste all’incontro, non preesiste all’interlocuzione, non preesiste all’atto di parola. Non c’è qualcosa che sia ontologicamente merce, e cioè che soddisfi a un presunto bisogno del presunto cliente. Il bisogno non è naturale, non ci sono i bisogni naturali che verrebbero soddisfatti dalle merci naturali. Contrariamente a quanto proposto e divulgato da una certa sociologia, nessuna merce è tale da soddisfare un bisogno, perché il bisogno è il significante di un malinteso.
Giovedì 28 luglio, La fiaba, la fabula, la saga. La scrittura della vendita
L’art ambassador non appartiene né al nostro mondo né a un immaginifico loro mondo da cui risultare esclusi. Non è un personaggio mondano. L’art ambassador è statuto intellettuale.
L’art ambassador è testimone della vendita e della sua scrittura. Può forse porsi la metodologia della vendita? Il suo vademecum? Certamente occorre la formazione del venditore, la cui formazione effettiva è quella intellettuale, clinica, cifrale.
La garanzia è nella condizione. Particolarità. Idioma. La formazione è un frutto dell’esperienza cifrematica, esperienza della parola originaria secondo la sua logica e la sua struttura.
Essenziale il transfert, l’annunciazione con cui la parola è senza possessione e senza padronanza: libera. Libera quindi, anche dai fantasmi di morte, di malattia, di prigione o di punizione. Senza più soggiacenza ma nell’adiacenza, che indica l’instaurazione dell’Altro. Dalla fiaba alla fabula alla saga. Come ciascuna cosa diviene cifra.
Con l’adiacenza la presunta necessità del fondamento, del fondo dove poggiare i piedi, per stare finalmente con i piedi per terra, non c’è più. La parola è libera, libera di divenire qualità, libera rispetto all’arte, all’invenzione, libera rispetto alla novità, che quindi può prodursi, annunciarsi come arte, come cultura.
Giovedì 4 agosto, L’Art Ambassador e i prodotti del secondo rinascimento. La vendita, la comunicazione, il messaggio
L’art ambassador è lo statuto intellettuale per cui ciascuna cosa procede dalla diade e si rivolge alla qualità: non c’è sostanza, con tutti i corollari della sostanza, dall’idea di origine all’idea di fine. Anche l’imprenditore occorre sia art ambassador, altrimenti porterà la sua impresa verso la fine, ne farà solo una questione di tempo, ne farà solo una questione di durata, ma, prima o poi, l’impresa dovrà finire, se risponderà ai presupposti della sostanza, all’idea di sostanza, all’idea di soggetto. In particolare, dunque, l’art ambassador è venditore, venditore ma non solo, è anche testimone della vendita e della scrittura della vendita, come ciò che si vende si scrive, come la vendita si scrive, qual è la scrittura della vendita. L’impresa esige sia la vendita sia la sua scrittura. Pensate alla stessa nozione di fatturato se può andare senza la scrittura. Il fatturato è questione di scrittura, di come la vendita si scrive. Ma come avviene la vendita, come avviene che si scriva e come avviene che questa scrittura comporti la comunicazione e il messaggio e, dunque, la qualificazione dei prodotti e dell’impresa stessa, perché anche l’impresa è in viaggio e la vendita non è sempre la stessa vendita. Che cosa vende il venditore? Vende il prodotto? Vende le cose di cui dispone? Vende le merci?
Giovedì 25 agosto, La parola e i dispositivi di forza
Quanti e quali sono i dispositivi d’impresa per ciascuno? Qual è la scommessa che ciascuno formula e formalizza nel suo viaggio? Senza la formulazione e la formalizzazione la vita è ideale, il viaggio è ideale, la cifrematica resta un’ipotesi ideale, una minaccia per soggetti stanchi, deboli, malati, incapaci. Noi non crediamo al soggetto, ma neppure all’idealismo. Non c’è cifrematica ideale, cioè senza la scommessa e l’impresa.
Quel che si è scritto, si sta scrivendo e si scriverà dell’esperienza in corso del Movimento cifrematico deve qualcosa ai dispositivi sorti nel corso degli anni e che sorgeranno da qui in avanti.
Ciascun dispositivo ha fornito sin qui il pretesto per il viaggio in direzione della qualità, senza cedimenti all’algebra e alla geometria del viaggio. Ciascuna cosa dà un contributo e partecipa all’aumento, alla crescita, all’abbondanza, alla ricchezza, al superfluo.
Giovedì 1 settembre, L’indulgenza e la vendita
Il tabù della vendita è il tabù della parola, è il tabù della questione intellettuale.
Essenziale alla vendita è l’indulgenza, che procede dalla tolleranza, dall’infinito e dall’Altro. Con l’indulgenza le cose si rivolgono alla qualità senza la contabilità dello sforzo, per esigenza di soddisfazione, di qualità. Con l’indulgenza non c’è necessità di salario, né di premio. Le cose si fanno per l’occorrenza, senza il finalismo del salario.
La vendita s’instaura nell’intervallo dell’impresa, dove l’intellettuale è venditore, adiacente al tempo. Con agio. E il servizio è intellettuale, non servile.
L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione della ricompensa, della quantificazione, della complicità, della relazione sociale. L’indulgenza dissipa ogni rappresentazione del mercenario.
Con l’indulgenza non c’è più colpa e non c’è più pena. E ciascuna cosa si rivolge alla sua cifra.
Giovedì 8 settembre, La generosità e l’odio del tempo. E non c’è più mentalità
La generosità è dell’Altro che, all’occorrenza, cioè facendo ciò che è necessario fare, fornisce i talenti per fare. Ma chi dubita dell’Altro, chi se lo rappresenta, allora tituba, indugia, rimanda, si ferma, gira in tondo. La generosità, dunque, si avvale non già dell’amore, non già della bontà, non già dell’accondiscendenza, non già dell’altruismo, ma dell’odio del tempo. La generosità, cioè, si avvale dell’irruzione del tempo come altro tempo, nel dispositivo pragmatico. Le cose incalzano e per questo si fanno. Le cose incalzano e per questo è impossibile aspettare. Questo incalzare delle cose è l’odio, l’odio del tempo, il tempo che irrompe come taglio e che rende impossibile dunque l’indugio, l’attesa, la conoscenza, il rimando, la soggettività.
Il programma di ciascuno si avvale della generosità e dell’odio. Senza programma, ognuno si paralizza. Tolta la domanda è la paralisi. Tolta l’analisi è la paralisi, cioè il sostanzialismo, il realismo, l’eternità dell’attesa.
Giovedì 15 settembre, Perché non si può barare con la domanda
Il baro è chi crede che si possa gestire il gioco, gestire le cose, semplificarle, facilitarle, renderle lineari. Il baro sta lì. L’idea di barare sta in quest’idea di padronanza, in questa credenza nella purezza delle cose; cose, dunque, “in sé”, che sarebbero “in sé”, tali, senza lancio, senza rilancio, senza giro, senza raggiro, con un destino già segnato.
La domanda indica proprio l’esigenza cifratica del destino, imprevisto, non predestinato, in direzione della qualità. Ammesso questo, accolta questa eventualità, può sorgere un dispositivo. La domanda inaugura la rivoluzione della parola, il viaggio della parola. Rivoluzione cifrematica, rivoluzione pulsionale che si rivolge al valore. Come ascoltare la domanda senza tramutarla, convertirla, banalizzarla nella richiesta di qualcosa? Come far sì che la domanda, che procede dal disagio, si rivolga alla cifra senza consacrare il volto umano con cui si formula ogni richiesta di bene, di benessere, di sostanza, come richiesta della fine?
Giovedì 22 settembre, La vendita e il superfluo
La vendita si compie nell’intervallo, in assenza di significazione, senza pregiudizio di sé e/o dell’Altro. La vendita non risponde alla necessità economica, che si risolve in un’economia della vendita, ma è secondo l’originario e marca l’aritmetica delle cose, l’assenza di algebra e di geometria del tempo. La vendita è in direzione del superfluo, senza quindi la necessità ontologica, soggettiva. La vendita non può essere imbrigliata fra il più e il meno, quali indici della possibilità propria o altrui. Il prezzo è alto? è basso? o, addirittura è troppo alto? o troppo basso? Troppo o troppo poco? Il soggetto fa del prezzo la colpa o la pena di sé o dell’Altro. “È troppo per me! Sarà troppo anche per lui?”. E allora il soggetto tenta di mediare, di mitigare, di ridurre, minimizzare con il risultato della svalutazione, del deprezzamento, del disprezzo, del degrado.
L’idea del finito abolisce il pubblico e crea il cliente potenziale, la cui potenzialità dipenderebbe dalla possibilità: possibilità economica, possibilità finanziaria, possibilità soggettiva.
E la vendita sfuma. Infatti, senza il fumo, senza la sembianza, non c’è vendita.
Giovedì 29 settembre, Il dispositivo di compravendita. Chi acquista? E che cosa?
Il dispositivo della vendita è dispositivo di compravendita: non c’è vendita senza acquisto. E cosa è acquistato o acquisito? L’acquisto è in qualità. L’acquisto segue la domanda, esige la domanda e è acquisto in qualità. Questa è la missione dell’art ambassador. Sia per sé sia per il cliente.
In ciascun caso, il dispositivo della compravendita è dispositivo di valore. E il valore di cui si tratta sta nella scommessa che si formula con ciascun cliente. Non è una scommessa una tantum, né la solita scommessa. Nessuna abitudine alla scommessa. Ma senza la scommessa ognuno si trova nella routine, nel quotidiano, nelle solite cose, nel già visto e nel già previsto.
Venditore e cliente non hanno nessun valore in comune, non sono accomunati da niente non sono complici in niente. Qualora s’instaurasse una qualsiasi forma di complicità, la vendita ne sarebbe compromessa, rimandata, rinviata, preclusa.
L’art ambassador si avvale dell’operatore sintattico, frastico, pragmatico come si avvale di ciascun termine della logica della nominazione. Nulla in ciò che l’art ambassador fa può contraddire la logica. Pertanto non può ispirarsi al materno e alla negazione dell’oggetto o del tempo. Non può ispirarsi, quindi, alla negazione della materia intellettuale.
L’art ambassador è nel viaggio come ciascuna cosa della sua collezione e del suo catalogo.
La valutazione non è valutazione del valore, ma è rivolta al valore. Così, prezzo e valutazione non coincidono. Prezzo e valore non possono chiudere la domanda. La domanda “Quanto costa?” non è da intendere come la richiesta del prezzo.